“Se la finite di rompere il cazzo, vedrete che non sbatterete più a nessuna porta”. Stampato e attaccato sopra un manifesto apparso a Tivoli in queste settimane, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne: l’immagine di una ragazza con gli occhi neri e una frase, “Ho sbattuto contro la porta”.
Sotto c’è la foto, potente, purtroppo evocativa e simbolo di tantissime storie finite nel sangue. Sopra una frase spregevole e disgustosa, che chiama violenza perché quella stessa frase è violenza. Una frase che racconta la storia di qualcuno che deliberatamente ha visto quel manifesto e ha investito parte del suo tempo e della sua anima per scrivere la frase, stamparla e attaccarla sopra quell’immagine. Una storia che spaventa, perché quel qualcuno, chiunque esso sia, è in giro, e produce pensieri con quelle parole. La ripetiamo. “Se la finite di rompere il cazzo, vedrete che non sbatterete più a nessuna porta”.
La ripetiamo perché solo con gli occhi aperti certe storie avranno altri finali. La ripetiamo perché solo con l’educazione, con la cultura, con l’empatia, certe storie non termineranno con un ospedale o con un funerale, ma semplicemente ricominceranno. Ricominceranno senza sangue, senza dolore, e senza mostri che lasciano impronte con la forma di un fogliaccio e di poche parole, spaventose e dolorose per chi legge e per chi quelle storie di violenza le ha vissute sulla propria pelle e le ha viste con i propri occhi. Perché di mostri siamo pieni,e quel foglio dimostra che sono anche molto vicini. Ma non è detto che debbano esistere per sempre.
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