L’area del reticolato idrico artificiale costruito dai cavatori per sbarazzarsi dell’acqua in eccesso nell’attività di cava è inaccessibile anche per l’Arpa Lazio senza previa autorizzazione della magistratura; l’ente pubblico delegato ad effettuare i controlli sui campioni di risorsa termale mescolata a detriti derivanti dall’attività estrattiva, definiti dalla stessa Provincia “reflui da lavorazione industriale”, ha le mani legate e tempi burocratici d’esecuzione elefantiaci. L’interdizione, per il massimo organo di controllo tecnico regionale in materia di inquinamento ambientale e per la Provincia di Roma – autorità competente ad autorizzare e controllare gli scarichi – è il sequestro giudiziale che dal maggio del 2009 pende sulle canalizzazioni artificiali costruite dalle imprese fin dal 1960; un provvedimento che cristallizza da tre anni la situazione relativa a quantità e qualità dei reflui industriali prodotti e smaltiti nell’attività estrattiva. Gli stessi che dopo la captazione quotidiana necessaria per pescare in profondità le lastre di oro bianco, finiscono nel fiume Aniene, dopo però aver transitato, senza un adeguato sistema di depurazione, nel Fosso della Prata, da anni a rischio esondazione, causa: le grandi quantità d’acqua che vi si riversano provenienti proprio dal reticolato idrico. <La situazione è un vero paradosso> per il sindaco di Guidonia Montecelio Eligio Rubes, che proprio con l’obiettivo di regolamentare e controllare la quantità e la qualità dei reflui industriali prodotti, a tutela della sicurezza urbana e degli ambienti fluviali, giovedì scorso ha riunito in una Conferenza dei Servizi sul ciclo delle acque, l’Arpa, la Provincia di Roma e la Regione. Proprio dalla Agenzia regionale di tutela ambientale e dalla Provincia di Roma è arrivato il colpo di scena. Difficile stabilire oggi quanto quei detriti siano inquinanti per gli ambienti fluviali, nel corso dell’ultimo sopralluogo effettuato, scrivono in un documento reso noto in sede di Conferenza, si è appreso che gli scarichi del Consorzio smaltimento acque di cava nelle località Le Fosse, Longarina e Valle Pilella sono sotto sequestro, quindi ogni azione che abbia un qualche effetto su quegli stessi impianti deve essere prima autorizzata dall’autorità giudiziaria, che avrebbe anche imposto il mantenimento del normale flusso all’interno del reticolo idrico, come confermato dal consorzio presente in Conferenza con alcuni suoi esponenti. Insomma <un provvedimento quasi provvidenziale per la categoria – commenta Rubeis – che la mette al riparo, rallentando i tempi, da analisi sui campioni e, in teoria, da provvedimenti sulla quantità delle captazioni anche in caso di pericolo di esondazione, è questo il vero paradosso. Ora accerteremo a che punto è l’iter giudiziario e su cosa veramente interviene il sequestro, non abbiamo alcuna conferma neanche su una possibile archiviazione del procedimento di cui pure si è parlato al tavolo, la seduta è stata quindi aggiornata. I punti importanti comunque emersi dall’incontro – conclude il sindaco – sono le competenze della Provincia, dal 2001 soggetto indicato dalla legge a fissare le quantità di captazione e al rilascio del nuovo nullaosta autorizzativo, il sequestro rallenta i tempi e spiana la strada all’ennesima proroga, senza la certezza dei controlli su qualità e quantità dei reflui emunti e poi smaltiti>.
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