“Anna e il pranzo di Natale”: un regalo direttamente dall’Africa. Gli auguri di RomaEst Magazine

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Di solito a Natale ci sono cose che non si vogliono sentire. Le luci, il calore del giorno di festa, l’affetto, la famiglia: perché devo pensare anche a Natale? Pensare. Un verbo che ormai poco appartiene alla nostra società. Un verbo che a me continua a piacere. E tanto. Ed è per questo che RomaEst Magazine fa gli auguri di Natale ai suoi lettori con il racconto “Anna e il pranzo di Natale”: uno spaccato di una esperienza vissuta direttamente dall’autore del brano, un amico innanzitutto, senza dubbio un validissimo professionista, principalmente – so che lui sarà d’accordo – un volontario dell’associazione Tulime Onlus, struttura che si occupa di cooperazione internazionale e di Africa (www.tulime.org; noicoltiviamo.wordpress.com). Una associazione che ci piace nominare e far conoscere, anche se probabilmente non ne ha bisogno. L'autore è Andrea Cardoni, che ringrazio con tutto il cuore e anche qualcosa di più. Chissà che non diventi una firma fissa del nostro giornale…

Parlando di altro, non posso non dire grazie anche alle persone che sono al mio fianco in questo progetto che tentiamo di far crescere con molta fatica, ma con grandi soddisfazioni. Per restare in tema di Africa, Asante Sana a Gianluca, editore presente e capace, ma soprattutto persona generosa e fidata, ad Alessandra, una delle mie giornaliste preferite da sempre, in continua evoluzione, e a Riccardo, genio e sregolatezza. Infine, Asante Sana a chi ci legge. Niente di tutto questo avrebbe valore se non fossimo certi di avere un certo riscontro: non giudizi belli o brutti, ma letture, commenti, critiche e opinioni. Da parte nostra tentiamo di fare una informazione diversa, e continueremo a farla, perché in altri modi proprio non ci riusciamo. Vi lasciamo al racconto.

A tutti voi i migliori auguri di Buon Natale (e Asante Sana, ancora…)

Yari Riccardi

 Anna e il pranzo di Natale

Avevamo messo a dormire Novetha su uno dei letti della missione. Le avevamo dato latte caldo e miele, poi l’avevamo avvolta in due coperte calde. Quella sera Novetha aveva un febbrone alto, troppo alto. Fuori faceva tanto freddo ed era tardi per riportare a casa lei e Anna, sua sorella. Anna la conosco da quando era piccolissima, da quando indossava il suo giubottino con il cappuccio colorato che teneva sempre sulla testa. Ora ha 4 anni. E ora ha una sorellina piccola, Novetha (3 anni), che deve accudire: Novetha sta male spesso e la mamma non è sempre pronta a starle dietro. Così ci pensa Anna. Mentre Giovanna stava con Novetha nella stanzetta calda che le avevamo preparato, io ho portato Anna a mangiare qualcosa. Appena entrata nello stanzone dove i solitamente mangiano i frati della missione sembrava ancora più piccola di quella che è normalmente. Tutti questi omoni altissimi che la accolgono e lei sola soletta che come unico accompagnamento per fare il suo ingresso in quel posto aveva il mio mignolo. La faccio sedere vicino a me: è troppo piccina e non arriva al tavolo, così i frati portano una montagna di coperte da mettere sulla sedia e ora Anna arriva perfettamente al tavolo. A tavola ci sono tante cose da mangiare e le chiedo cosa vuole: ma è troppo intimorita da una situazione troppo più grande di lei. Lei ha sempre i suoi occhioni sgranati  su tutto l’ambiente che la circonda: sulla tavola, sulle posate, sui piatti, le vivande, sui frati, sulle loro barbe lunghe. L’unico contatto è la sua mano sinistra che stringe la mia destra: non l’ha mai lasciata. Allora le faccio il piatto io: prendo del riso (che a tavola non manca quasi mai), fagioli (idem) e della verdura. Mi chiedo: chissà se le piace?! Non è proprio un pasto per bambini, ma almeno non è il solito pappone che le danno all’asilo tutti i giorni. Le porgo il piatto con queste tre pietanze debitamente separate una dall’altra, un tovagliolo e le posate. Lei, sempre spaesata e con gli occhi rivolti alla tavola, mi tiene la mano, ma con la mano destra inizia a mescolare nel piatto riso, verdura e fagioli. E inizio a guardarla. Poi prende un po’ di questo miscuglio nel palmo, e se lo mette in bocca: non tutta la mano, ma le quattro dita che hanno raccolto riso, verdura e fagoli sono tutte  in bocca. Non guarda il piatto, non guarda ciò che sta facendo con le sue mani sul piatto: con gli occhi aperti continua a guardarsi intorno, e a mangiare. Io dico che non avevo mai visto prima una mano tanto piccola raccoglirere riso, fagioli e verdura, infilarsi in una bocca tanto piccola tutte quelle volte in così poco tempo con così tanta eleganza, grazia e dolcezza. So che guardare la gente mentre mangia non si fa. E so anche che la gente potrebbe essere infastidita se tu inizi a guardarla mentre mangia. Ma in quel momento stavo assistendo ad uno spettacolo che non potevo non guardare. E Anna non sembrava affatto infastidita. In quel momento poteva succedere quasiasi cosa: un colpo di vento che scoperchiava la missione, non sarebbe cambiato nulla: Anna avrebbe continuato a mangiare, con la stessa grazia, sempre senza dire niente. Dopo nemmeno cinque minuti Anna aveva ripulito il piatto. Fuori faceva freddo. L’unica cosa di caldo che potevamo darle era il latte. Certo però: una tazza di latte caldo dopo un piatto di riso, verdura e fagioli… non è proprio il massimo dell’offerta culinaria. Ma Anna non ha fatto una piega: “Maziwa (latte)?”. Un leggero movimento del capo verso il basso, senza neanche parlare e le verso un po’ di latte nella tazza. Lo beve tutto d’un fiato. Mentre finiamo di parlare, Fra Nicola sta sgridando la mamma di Anna e Novetha, rea di averle lasciate sole, e soprattutto di non aver portato Novetha all’ospedale per farle fare le cure.

Anastasia gioca con i suoi due bambolotti che hanno dei maglioncini fatti su misura. E’ Natale e quest’anno ha ricevuto due passeggini per i suoi due bambolotti. Ha i piattini e le posate di plasica colorate. Un biberon vero con i personaggi Disney pieno di ovatta, come se dentro ci fosse il latte. Fuori fa freddo, ma Anastasia vuole uscire lo stesso. Ora però non si può: si mangia. E’ il pranzo di Natale. Anastasia ha il suo tavolo, quello dei bambini, con le sedie per i bambini. Così arriva all’altezza del tavolo e può mangiare comodamente. Ma Anastasia è troppo indaffarata con i suoi bambolotti (che però domani saranno già giocattoli vecchi), viene imboccata dalla mamma ed è sempre in piedi in giro per casa: sulla sua sedia e sul tavolo piccolo, allestito apposta per i bambini del pranzo di Natale non ci sta quasi mai. Alla fine del pranzo di Natale ha mangiato 5 rigatoni (debitamente contati ad altissima voce dalla mamma), quattro quadratini di fettina panata e 6 patatine fritte: le mangia solo a coppia. E’ fatta così, è abituata così… E per farle mangiare queste cose i genitori devono inventare cose del tipo: “Guarda che se non mangi…”, “Anastasia: un pezzetto di carne e poi vai a giocare”. “Quando hai finito di masticare, smetti di giocare, vieni qui e…”. “Dai, mangia la patatina: una a te e una a Cicciobello”. Anastasia mangia mezza patatina, poi ne prende una sana e la fa mangiare al suo bambolotto. Ci gioca un po’ e  poi la butta nel piatto della mamma. Poi Anastasia porta a tavola il torrone: lo sgranocchia finchè non arriva alla nocciola, poi prende la nocciola e la butta.

 Andrea Cardoni

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