Villalba / Siringhe, bivacchi, rifiuti e porte chiuse: così continua a morire la palestra di Piazza Martiri delle Foibe

In Primo Piano da Yari Riccardi Commenti

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La porta era aperta. Aperta. Non una barriera, nessun ostacolo. E’ bastato passare oltre un muretto alto forse 50 centimetri e siamo entrati in quello che resta della palestra di Piazza Martiri delle Foibe a Villalba, quella che preso fuoco tre anni fa e che la scorsa estate è stata di nuovo vittima di un incendio. Tutto sembra essersi fermato al 22 ottobre 2015, con poche ma sostanziali differenze.

Ci accompagna il presidente del ViviVillalba Ernesto Schiavone, che dal giorno dell’incendio non ha mai smesso, insieme alla sua associazione, di occuparsi del futuro della struttura, tentando di riportarla agli antichi fasti. Fatica enorme, che è andata a cozzare con la burocrazia e con i buchi neri del Comune di Guidonia, quelli relativi ai lavori mai iniziati nonostante le procedure di cottimo fiduciario avviate ormai anni fa, quelli dell’assicurazione – che ha impostato la pratica con i documenti predisposti dal ViviVillalba e non con quelli del Comune, che all’epoca non presentò neanche denuncia alle forze dell’ordine – con i soldi che dovrebbero essere arrivati nelle casse comunali da almeno due anni e mezzo, ma dei quali non si sente più parlare da tempo.

La palestra oggi. Il primo piano è inaspettatamente “pulito”. I materiali sono ammassati ai lati del campo, sempre ovviamente in grande disordine. Il lato dove si trova ciò che resta del bar – teatro dell’incendio del 2015, per il quale non è mai stato trovato il punto di innesco – è praticamente uguale a tre anni fa. Il resto sembra una grottesca caricatura di una abitazione. Le panche, tante, sistemate intorno a un tavolo dalla parte degli uffici, bottiglie vuote, mozziconi, vestiti. Intorno il caos più completo. Quello che risulta evidente è la presenza di evidenti e incontestabili segni di bivacco e di un frequente utilizzo della struttura.

 

 

 

 

 

“Sembrano ogni giorno di più ambienti attrezzati per vivere”, racconta Ernesto. Ci indica una porta alla base delle scale. Proviamo a spingerla. E’ chiusa a chiave. “Si trovava al piano superiore poco tempo fa. Qualcuno è entrato, l’ha tolta e l’ha installata qui, predisponendo anche una serratura”. Con tutta probabilità c’era qualcuno dall’altro lato della porta.

Il quadro elettrico non esiste più. Del rame e degli altri materiali “preziosi” per i predoni nessuna traccia. Saliamo le scale e ci troviamo al piano superiore. Entriamo nelle stanze che hanno preso fuoco la scorsa estate. C’è un barbecue, bottiglie di birra e altro. Le mura annerite dal fuoco, forse le sole che si erano salvate dalla furia del 2015. Bagni inutilizzabili, attrezzi rotti, rifiuti, scritte sui muri. E’ uno scenario a metà tra il film dell’orrore e un documentario sull’emergenza abitativa.

 

 

 

 

 

Riscendiamo le scale e facciamo per uscire all’esterno. In un angolo della palestra troviamo due siringhe recentemente utilizzate. E tutto questo accade con una porta aperta, che offre l’accesso all’interno di una struttura fatiscente e pericolosa.

All’esterno lo scenario è uguale. Rifiuti ovunque, i resti dell’incendio – rifiuti evidentemente speciali – lasciati a cielo aperto, una panchina di ciò che resta del campo di calcetto a terra. Distrutta.

Tra passato e futuro. “Siamo fermi a tre anni fa, e l’incendio di questa estate ha dato il colpo di grazia”. Schiavone racconta quello che sono stati i mesi dal 2015 ad oggi. “Era più o meno la scorsa primavera quando ho portato qui alcuni componenti dell’attuale amministrazione comunale: il solo Marco Colazza ha tentato di risolvere il problema, senza trovare la necessaria collaborazione”. A chiudere le porte ha dovuto pensarci l’associazione, ma sono durate soltanto una settimana.

Oscure ancora le cause delle fiamme di tre anni fa. “Al momento dell’incendio, io ero dentro per tentare di salvare il salvabile, il quadro elettrico era perfettamente funzionante, perché si trovava dal lato opposto del fuoco. Non è mai stato trovato il punto di innesco, eppure io resto convinto che si tratta di dolo”.

Da parte del presidente continua la volontà di salvare la palestra. “Richiameremo il Comune, e proporremo, di nuovo, di prenderci carico della situazione”. E’ chiaro che il caso è molto diverso da tre anni fa, quando, probabilmente, sarebbero bastati 150 mila euro. “Sarà molto dura: dovremo rivolgerci al Coni per i fondi speciali destinati alle strutture sportive in periferie disagiate e dovremo chiedere un mutuo al Credito Sportivo”. Oggi, da una prima stima, potrebbero servire più di 400 mila euro.

La situazione è delicatissima, e Schiavone non ha intenzione di fermarsi. “Incuria, gestione amministrativa degli ultimi tre anni, danno erariale, perché questa palestra prima produceva entrate per il Comune, e adesso non può più farlo perché si trova in questo stato. Siamo pronti ad andare alla Procura della Repubblica di Tivoli. A noi hanno chiesto i soldi del canone mentre eravamo con i tubi e con le pompe dell’acqua ad aiutare i Vigili del Fuoco a spegnere l’incendio che ha distrutto tutti i sogni e i progetti della nostra associazione”.

Di fuori un signore conferma le nostre ipotesi. “Ho visto più volte alcune persone entrare ed uscire dalla palestra, sia di sera che di mattina”. Il rischio che la palestra diventi una nuova ex Pennicillina non ci sembra così remoto. La porta resta aperta in Piazza Martiri delle Foibe. Ed è il caso di porre rimedio: perché oggi siamo entrati in due adulti, ma di fronte c’è una scuola. E bambini.

 

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