“Paolo e Giovanni non erano degli eroi, ma soltanto persone normali che volevano fare il loro lavoro”. Parole pronunciate in un silenzio commosso e partecipe da Salvatore Borsellino davanti agli studenti del Liceo Majorana durante la prima “Ora Legale”, una serie di incontri e di iniziative organizzate dall’amministrazione comunale per combattere l’illegalità partendo proprio dalle ragazze e dai ragazzi delle scuole di Guidonia. L’incontro di venerdì 27 ottobre si è aperto con la proiezione del film “La mafia uccide solo d’estate”, alla quale ha fatto seguito l’emozionante incontro con Salvatore Borsellino e il giornalista siciliano Paolo Borrometi, sotto scorta da tempo per le sue inchieste sulla mafia ragusana. All’incontro ha preso parte anche il Procuratore della Repubblica di Tivoli Francesco Menditto. Tra i relatori anche il giornalista Tommaso Verga, profondo conoscitore delle storie di mafia legate al territorio ad est di Roma. Il dibattito è stato aperto dai saluti istituzionali del sindaco di Guidonia Michel Barbet e dell’assessore alla legalità Davide Russo. Al tavolo di conferenza anche il consigliere comunale Claudio Caruso, il presidente del consiglio comunale Angelo Mortellaro e il segretario generale del Comune Annalisa Puopolo.
“Palermo non mi piaceva, per questo imparai ad amarla”. Alza più volte in alto l’Agenda Rossa, simbolo di quel Movimento che da anni si batte contro la mafia e mistero, uno dei tanti, della strage di Via d’Amelio che si prese la vita di Borsellino e della scorta. “Raccontano che Paolo sia stato ucciso dalla mafia, ma non è così. Mio fratello è stato ucciso perché si era opposto a una scellerata trattativa che pezzi deviati dello Stato stavano stipulando con la mafia”. Salvatore Borsellino è un fiume in piena. Più volte interrotto dall’emozione e dagli applausi, racconta di un Sud controllato dalla criminalità organizzata e non dallo Stato. “Non esistono Regioni senza infiltrazioni di stampo mafioso”. Fatti che non possono restare in silenzio. “Sono fatti nostri, vostri, di tutti: non lasciate questo Paese – dice rivolgendosi direttamente ai ragazzi presenti – perché è vostro e ve lo riprenderete”. Risuona la Canzone del Maggio di Fabrizio De Andrè nei pensieri di tutti.
Il mistero dell’Agenda Rossa. Era il rosso il colore scelto dall’Arma dei Carabinieri per le agende del 1992. Su quella agenda Paolo Borsellino scriveva tutto. Ancora di più dopo la strage che si era portato via Giovanni Falcone. Quell’agenda sparì dalle lamiere di Via d’Amelio. “Era la scatola nera della Seconda Repubblica”, così l’ha definita Salvatore Borsellino, esordio per raccontare 25 anni di processi, di trattative segrete e di rivelazioni più o meno reali di attendibili e sedicenti collaboratori di giustizia. Ritornano alla mente le bombe del 1992 e del 1993. “Senza quelle stragi – prosegue Borsellino – non ci sarebbero gli equilibri di oggi”. I processi in corso e il Borsellino quater, i mandanti a volto coperto e le dinamiche di una strage che presenta ancora lati troppo oscuri. “Il grande oltraggio sta tutto nel vedere occupati i posti delle istituzioni da persone indegne di occuparli”. Borsellino parla di “fuoco amico” quando ricorda la morte del fratello. E parla di ferite che non si rimarginano, e di una lotta per la verità e per la giustizia da portare avanti ancora. Finisce con una standing ovation, l’ennesima. E con le lacrime negli occhi di molti.
“Era l’unico che raccontava queste cose”. Questa è stata la “colpa” di Paolo Borrometi, giornalista siciliano che ha alzato l’attenzione sulla mafia ragusana. L’ha pagata: con una aggressione alle spalle a poca distanza da casa sua e con una vita sotto scorta. Senza smettere di fare quello che semplicemente è e sarà sempre il suo lavoro. Il giornalista. “Non siamo le minacce che riceviamo, ma siamo quello che raccontiamo: un cittadino ha il dovere di dire quello che non va in quello che vede intorno a lui”. Nella mafia nessun onore e nessun rispetto. Borrometi cita il piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido per convincere il padre Santino a non collaborare con la giustizia e “la più piccola vittima della mafia, Caterina Nencioni, solo 50 giorni di vita e uccisa dall’autobomba di Via dei Georgofili”. Borrometi non parla di futuro ma di presente rivolgendosi agli studenti. “Ribellatevi studiando e conoscendo”, la ricetta perfetta per aprire gli occhi.
“C’è parecchio da fare”. Ha abbracciato Borsellino e Borrometi, “protagonisti del nostro tempo”. E poi ha parlato del territorio di riferimento della Procura della Repubblica di Tivoli, quella che dirige con estrema professionalità. “C’è parecchio da fare in un territorio bellissimo che ha molti problemi: essere qui è un’occasione per caricarmi”. Denso di significato l’intervento di Francesco Menditto, che si è rivolto direttamente ai ragazzi presenti. “Vivere con la criminalità organizzata significa vivere senza democrazia”. Un valore per il quale vale la pena impegnarsi. “Se ci crediamo nella democrazia ci dobbiamo investire: non date per scontato quello che avete oggi”. Menditto è visibilmente emozionato. Il discorso assume i contorni di un appello. “Democrazia, libertà, studio, tutto dipende dal presente. Ciò che accade oggi condiziona il domani e voi ne siete protagonisti”. Menditto è il simbolo di una Procura vicina alla cittadinanza e attenta alle esigenze di legalità dei territori. “Noi autonomi e indipendenti: se oggi siamo qui è grazie alle donne e agli uomini che si sono sacrificati nel corso degli anni. Tutto quello che è accaduto ci dà la forza per crederci. Noi ci siamo, e ci fa piacere se ci siete anche voi”. L’applauso degli studenti copre la risposta. Ma spesso le parole non contano, quando assisti a un’ora e più di aria pulita.
Condividi