Le storie vanno fatte circolare. E certe storie non possono essere raccontate se non in un certo modo. Col cuore, di petto, col sangue e con l’amore. Con la carne, tutta. Ed è con tutto questo che Simone Saccucci ha raccontato una nuova storia e l’ha portata in scena col violino di Andrea Verde e con il volto di Maurizio Cirulli, quella di “un uomo che si ritrova a fare il macellaio ma in realtà avrebbe voluto fare il cowboy. Ma è anche la storia di un figlio che fa finta di essere il padre. Questa storia è una bestia disossata e poi rimontata e raccontata recitata cantata”. E’ la storia di Massimo, raccontata con la forza e con la malinconia, col dolore sullo sfondo e con la vita ovunque. La vita dentro, nel cuore, nella testa e nel sangue. E’ la storia di un uomo e della sua famiglia, ma è anche la storia di un posto che di Guidonia è stato centro e cuore – come torna questa parola – e meta per vecchi e giovani. La macelleria, meta per Enrico, che sembra Sandokan e che a Massimo chiede sempre mille lire, per comprare un mazzo di fiori da regalare alla mamma che dorme al cimitero. Meta per Angelo con la sua pistola d’oro, meta per il maresciallo dei carabinieri che la carne non la voleva mai pagare. E’ la storia di Rizziero e Marta, che arrivano qui da Vallinfreda e che decidono di aprire una macelleria, prima solo il sabato, poi tutta la settimana. E’ il motivetto di Trinità. E’ il racconto di “come si fa a non far morire il fiore”, quando tutto intorno avvizzisce e la passione potrebbe restare solo una parola, ma la passione non è mai solo una parola. E’ la storia della Juventus, la squadra che vince sempre e che ti fa sentire signore anche per un giorno alla settimana. E’ la poesia di certe canzoni, la delicatezza di un amore vero che passa attraverso i momenti della Storia, quella di Massimo e Luisa, di Simone e di Chiara, ma anche quella di questa città e quella che si intreccia con la Storia quella grande. E’ una cassetta dove è incisa sempre la stessa canzone, da ascoltare e riascoltare in una stanza bianca che dà su Villa Torlonia, una stanza dove tutti entrano con la mascherina. E’ la scatola con le polpette al sugo di Luisa. E’ la storia di uno straniero che avvelena il sangue di Massimo, che ha paura, e tenta di correr via, ma sa di non poterlo fare. E allora lascia una traccia lucente dietro di sé. Massimo se ne va ma resta vivo, nelle storie di Simone e nelle passioni, quelle che ci fanno amare un lavoro anche se non fa per noi, un lavoro che ti fai piacere se ci metti dentro “tutte le idee, le passioni. Pure voi. Per esempio, guarda qua: Topolino, Paperino, Pippo…li hai fatti tu. È bravo a disegnare Simone. E io li ho attaccati tutti, così quando entro qua li guardo subito. E Chiara, la ciambelletta nostra, sta sempre al registratore cassa e fa gli scontrini a tutti: non se ne fa scappare uno. E poi tra un cliente e l’altro mi scrive tutti foglietti con i cuoricini e ti voglio bene papà. E allora io li ho messi tutti sul banco con una bella lastra di vetro sopra. E chi ce l’ha il banco così: solo noi. Ecco. Così me lo sono fatto piacere questo lavoro”. A cosa servirebbe una storia se non a far rimanere qualcuno anche quando va via? E a che cosa servirebbero le passioni se non a far rimanere vivi? Intanto lo spettacolo finisce. Ma non questa storia, perché ciò che importa veramente è che il cowboy va verso il Sole. E che Massimo non smette di cantare. Come Simone. Come la Macelleria Saccucci. “Fate circolare le storie”, così Simone saluta il pubblico che ha affollato il 25 ottobre il Piccolo Teatro dei Sassi di Montecelio. Circolano le storie. E circola il sangue. Il verbo è lo stesso, non ci avevo mai fatto caso. Stavolta è sangue senza veleno. Stavolta è davvero per sempre.
Condividi