Si voti il 16 dicembre, a fine gennaio 2013, a inizio febbraio o addirittura in aprile – come vorrebbero alcuni falchi del Pdl equiparando impropriamente la vicenda del Lazio a quella della Lombardia – il rischio è consegnare alla paralisi, o almeno all'incertezza, il futuro politico della Regione. Per ognuna delle possibili soluzioni tutto potrebbe – comunque – finire tra le carte bollate del tribunale amministrativo regionale e successivamente del Consiglio di Stato.
Esaminiamo i fatti. Secondo quanto sostiene il Pd, il recente decreto legge governativo n. 174 imporrebbe il voto entro 90 giorni dalle dimissioni della presidente. Secondo tale interpretazione giuridica, il presidente uscente, Renata Polverini, avrebbe dunque non la facoltà, ma l'obbligo di indire le elezioni entro fine dicembre. Tuttavia, al ministero dell'Interno – almeno a quanto sinora è dato apprendere – non condividono il senso di questa lettura del testo. D'altronde, e qui viene in soccorso la sequenzialità dei fatti, se al ministero avessero interpretato il dl secondo il significato che ad esso conferisce il Pd, essendo l'approvazione del testo in Consiglio dei ministri antecedente rispetto al question time del ministro dell'Interno alla Camera, non si capirebbe per quale motivo non abbia la Cancellieri sottolineato in aula, e poi nel successivo incontro al Viminale con il presidente dimissionario Polverini, l'obbligo – e non l'auspicio – del voto entro dicembre.
Resta, da parte di Polverini, un'altra perplessità tecnica: lo scioglimento del "nodo Province". Eventuali tagli da parte del governo su questi enti nel Lazio, potrebbero rendere possibili ricorsi visto che i collegi elettorali sono proprio strutturati su base provinciale. Polverini potrebbe impugnare per declaratoria di illegittimità costituzionale parti della spending review che riguardano il riordino delle Province, ma la Consulta potrebbe esprimersi troppo tardi per far sì che i 45 giorni richiesti tra l'indizione e lo svolgimento delle elezioni siano sufficienti a garantire il voto per il 16 dicembre. La soluzione di questa vicenda, come si vede, non può essere esclusivamente di carettere giuridico. Poniamo il caso si riuscisse a votare in dicembre, scatterebbero i ricorsi che riguardano la ripartizione dei collegi su base provinciale. Senza urgenti provvedimenti normativi, allo stato delle cose, un candidato non eletto, di qualsiasi schieramento, potrebbe chiedere di invalidare la consultazione. Si votasse invece dopo dicembre – in gennaio, in febbraio o addirittura in aprile – ebbene anche in questo caso un candidato non eletto potrebbe egualmente impugnare la validità della tornata elettorale. Come? Proprio appellandosi all'interpretazione che il Pd ha dato del decreto legge 174, ossia che il voto nel Lazio si sarebbe comunque dovuto svolgere obbligatoriamente entro i tre mesi dalle dimssioni di Renata Polverini. La soluzione perfetta deve dunque necessariamente essere politica, basarsi su un ampio accordo, contemperando l'esigenza di votare presto e di votare bene. Tuttavia, anche nel caso di un'intesa, questa partita in gran parte la politica l'ha già persa, non potendo di certo evitare i ricorsi a raffica dei peones scontenti da una parte e dall'altra. Che arriveranno puntuali.
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