E’ finita come erano finiti gli altri giorni. Con la rabbia e l’esasperazione dei lavoratori, di nuovo fino a tardi in attesa di notizie dal consiglio comunale salvo poi ritrovarsi con un nuovo nulla di fatto. E’ finita di nuovo con la fuga della maggioranza protetta dalla Polizia, tra fischi e insulti di chi ormai da settimane si ritrova con nuvole oscure intorno al futuro e con un vago impegno che il consiglio comunale – la maggioranza – chiede a sindaco e giunta per valutare eventuali soluzioni. Esattamente quanto detto dal sindaco poche sere fa. Forse, vedremo, chissà. Giovani, padri, figli, mariti e fidanzati. Cavatori, operai e artigiani rappresentanti dell’indotto. Erano in molti davanti al palazzo comunale. E con tutta probabilità lo saranno anche nei prossimi giorni. Perché la storia della revoca della concessione per la STR e per i conseguenti e inevitabili licenziamenti degli operai non può né deve finire così. Non è possibile pensare di regolamentare un settore – obiettivo naturalmente legittimo di una amministrazione comunale – e di farlo a colpi di accetta e giocando su più tavoli. Da un lato quello regionale, al lavoro per l’accordo di programma. Dall’altro l’atto dirigenziale del Comune, ma regolamentare non può e non deve voler dire chiudere. In mezzo c’erano mille opzioni. Una questione di metodo.
Il consiglio comunale. Sole cocente, operai in piazza, la politica che freme. Inizia con lieve ritardo l’assemblea cittadina per discutere del caso cave: non sarà l’unico della giornata. La riunione si apre con l’intervento del sindaco Michel Barbet, che parla di una “revoca legittimamente emessa dal Comune. Siamo attivi da tempo, e consapevole dei problemi di occupazione, ma dopo la revoca abbiamo accelerato tutto l’iter”. Il primo cittadino ha confermato l’arrivo della bozza di accordo di programma della Regione annunciato dall’assessore Manzella. In sostanza Barbet ha rivendicato la bontà dell’azione amministrativa portata avanti: un atto dirigenziale, lo ricordiamo, è diretta espressione di una volontà politica dell’amministrazione.
La cronostoria di Lippiello. Data la complessità del tema, è stata concessa l’audizione a tutte le parti sociali coinvolte nella storia. In rappresentanza del CVTR ha parlato Filippo Lippiello, che ha ripercorso quanto accaduto dallo scorso gennaio, quando si sono verificate le maggiori criticità. “Abbiamo iniziato a ricevere solo predinieghi alle istanze di competenza comunale, che leggevano come difforme il piano di recupero ambientale”. In particolare veniva detto no al ritombamento con terre e rocce da scavo extra cava. Lippiello ha poi sottolineato la presenza di un patto sociale già siglato da CVTR e sindacati, in cui veniva programmata e ideata la filiera corta, una parte di travertino consegnata ai laboratori artigianali e tanto altro. Un progetto che lo stesso Comune all’epoca definì valido, ma che ad oggi è ancora lettera morta. Ad aprile i primi cambiamenti: arrivano lo sciopero dei lavoratori e cambia il tenore dei predinieghi, che non parlano più della terra ma della profondità di cave e di difformità urbanistiche. Intanto una prima azienda è costretta a licenziare 38 lavoratori. Si apre il tavolo regionale e a Guidonia il sindaco convoca le aziende. Qui vengono presentati le prime proposte di recupero, anche dalla STR che riceve valutazione positiva. A maggio il Comune chiede la collaborazione della Regione per le varie verifiche, che avrebbero dovuto essere in base a una normativa che prevedeva la presenza di un tecnico comunale e 2 regionali. “Da solo il Comune non le può fare, però a luglio le ha fatte, pur senza carte perché richieste per settembre. Non sono mai entrati in cava”. Arriva agosto. “Con sorpresa l’amministrazione comunale apprende che gli uffici amministrativi avevano revocato l’autorizzazione dell’unica cava in VIA, l’unica ad aver presentato proposte in risposta alle richieste del Comune. Proposte – prosegue Lippiello – definite buone”. La revoca arriva per difformità sul piano di coltivazione e recupero ambientale: ma il vulnus sta tutto nella fuga del Comune, che partecipa al tavolo regionale e contestualmente agisce per conto proprio. “L’ultima nota di Manzella presenta un accordo di programma a medio tempo, il tavolo si è sfilato e non c’è mai stato il giusto atteggiamento da parte del Comune. Non sarà quel tavolo che oggi risolve le attuali criticità. Il dato è uno solo: chi ha adempiuto alle indicazioni del Comune è stato ingannato, e oggi, con le revoche e le verifiche in corso, ci troviamo davanti a 2 attività chiuse e a 90 licenziamenti”. Tutto questo mentre in piazza era simbolicamente presente l’intero distretto industriale. “A rischio per intero: con una sola azienda chiusa si rompe tutto: occorrono misure per salvaguardare i posti di lavoro, altrimenti muore l’economia”.
I sindacati. Nei loro interventi al Consiglio Remo Vernile della FenealUil di Roma, Daniele Mancini della Filca Cisl di Roma e Claudio Coltella della Fillea Cgil di Roma e del Lazio hanno chiesto all’Amministrazione Comunale ed al Sindaco di Guidonia di salvaguardare i posti di lavoro “Le soluzioni si sarebbero dovute cercare. Le persone sono esasperate. Vi siete chiesti come ricollocare gli operai? Vi sentite il peso della responsabilità di mandare a casa i lavoratori in un territorio dove la disoccupazione è già alta e non offre nuove prospettive a chi perde il lavoro? Le cave di travertino sono da sempre il motore dello sviluppo e dell’occupazione di Guidonia e del suo hinterland: abbiamo tutti il dovere di contribuire a una soluzione positiva di questa vertenza. La cessazione delle attività di impresa e il licenziamento degli operai non possono essere l’unica via di uscita dalla crisi. Gli operai hanno fatto un corteo spontaneo da Villalba e Villanova fino alla piazza del comune ed hanno trovato la solidarietà dei cittadini di Guidonia che li hanno applauditi mentre passavano. I cittadini, al contrario dell’Amministrazione Comunale, hanno rispettato i lavoratori”. Claudio Coltella per la CGIL ha raccontato quanto accaduto a luglio, quando il 4 luglio è arrivato alla STR il preavviso di chiusura della cava, con l’azienda che il 16 luglio ha presentato il piano richiesto. “Va bene così, hanno risposto dal Comune”. Coltella di fatto apre forti squarci, come già aveva fatto Lippiello, nella ricostruzione di Barbet. Della revoca il sindacato non è stato avvisato dal Comune. “Con un tavolo regionale aperto e mai chiuso un provvedimento di questa gravità meritava altra comunicazione: ci saremmo attivati nei confronti dell’azienda. Anche a me è stato detto che il progetto andava bene, così come del tempo per trovare soluzioni”. Questo diceva l’amministrazione comunale a fine luglio. Il 13 agosto la revoca della concessione. Nessuno sconto. “L’amministrazione comunale di Guidonia è direttamente responsabile nei confronti di quel tavolo che cercava di non licenziare i lavoratori. Non hanno rispettato il tavolo per la salvaguardia dell’occupazione, e per questo sono responsabili di quanto sta avvenendo in questi giorni”. Per il sindacalista una soltanto è la strada percorribile: annullare gli effetti del provvedimento di revoca, evitando di continuare “la presa in giro sull’accordo di programma. Basta affacciarsi – chiude con la voce rotta dall’emozione – per vedere come dietro i lavoratori ci siano storie davvero drammatiche”.
L’opposizione. Parlano tutti i consiglieri di minoranza. E hanno le idee decisamente chiare. “Sospensione del provvedimento oggi o mozione di sfiducia: sindaco, non ci sono alternative”: è Emanuele Di Silvio ad aprire la lunga fase degli interventi, descrivendo la mozione presentata dall’opposizione in maniera congiunta. Segue Mario Lomuscio: “Chi sta fuori subisce questa situazione e non ha nessuna responsabilità. In Procura ci andiamo insieme: oggi sospendiamo, poi ci sediamo e regolamentiamo forse l’unico vero valore di questo territorio”. Parla Mario Valeri e dopo di lui Mario Proietti, che tra le altre cose offre un saggio consiglio alla maggioranza pentastellata: “E’ finito il tempo di Facebook”. Arianna Cacioni apre ad eventuali soluzioni. “Non ne uscite bene, ma oggi per responsabilità possiamo metterci una toppa, nonostante la vostra fuga in avanti a tavolo regionale in corso. La situazione è gravissima, sociale e amministrativa: qui non abbiamo niente, e voi avete di nuovo messo a rischio le casse comunali, se la società oggetto di revoca vedrà favorevole l’esito del Tar. E nulla ci dice che questo sarà l’unico provvedimento”. Caustico il discorso di Mauro De Santis. “Amen, come dopo un de profundis: oggi sono morti chiarezza, trasparenza e dovere politico. Regolamentare non vuol dire chiudere: la vostra situazione politica si è nascosta dietro a quella giuridica. Ci dite spesso tempo al tempo. Io rispondo: nel frattempo? E’ una questione di responsabilità politica, quella che impone – si rivolge direttamente al sindaco – la sua poltrona”. A chiudere Giovanna Ammaturo, che parla di crisi politica della maggioranza “certificata da questa burocrazia incomprensibile, oltraggiosa, becera, insolente e cieca”, e Paola De Dominicis, che accusa la maggioranza di aver “esautorato il ruolo del consiglio comunale. Non riesco a capire la vostra insensibilità: come fate ad essere così tranquilli?”. Nessuna reazione da parte della maggioranza, che ha visto arrivare in platea, e poi negli uffici, il parlamentare Sebastiano Cubeddu. La prima parte del consiglio si chiude intorno alle 13 e 45.
Tre ore dopo. Una pausa lunghissima, che riporta tutti in aula solo intorno alle ore 17. Fuori la piazza è ancora piena. Non potrebbe essere altrimenti, vista la posta in palio: uno “streaming” decisamente sui generis per il pubblico fuori. La sala del consiglio comunale era off limits per molti, con le scale presidiate dalla Polizia. La maggioranza rientra con un atto di indirizzo, evidentemente frutto delle tre ore di sospensione. Lo legge il capogruppo Santoboni, dopo una introduzione che specifica come siano “10 le concessioni tra quelle scadute e in richiesta di proroga”: i pentastellati hanno dunque ipotizzato di impegnare sindaco e giunta a valutare ogni eventuale iniziativa per la fattibilità della sospensione della revoca. Eventuale, dunque. Siamo ancora nel campo del forse. L’opposizione non la prende bene. Il capogruppo del PD parla di atto anomalo, “copia e incolla della nostra mozione”, Lomuscio perde la pazienza: “O usciamo da qui con una sospensione oppure discutiamo le sue dimissioni”. Di Silvio paragona la situazione con quanto accaduto l’altra sera. “Sono le stesse parole di ieri. Per le vostre denunce lo avete sempre trovato il prefetto, e adesso? Lo deve scrivere il sindaco l’atto, per una ordinanza ci vogliono tre minuti, la votiamo e poi discutiamo dello scioglimento del consiglio comunale”. A difendere l’amministrazione ci pensa Alessandro Cocchiarella, il cui intervento è bersaglio delle critiche dei presenti in aula e degli spettatori all’esterno. “Non siamo né alieni né distanti dal territorio e delle sue problematiche: parliamo di una questione che racconta di 400 ettari di cave e 50 milioni di terreno scavato”. Fuori la folla rumoreggia con forza. E se Cacioni parla di “incoscienza e incapacità”, Santoboni torna a difendere l’azione amministrativa. “Parliamo di un settore che oggi prende i sassi e li porta da un’altra parte: non ci sto ad essere io e questa maggioranza a passare per quelli che stanno mandando a casa i lavoratori, per i quali ci stiamo battendo. Chi mette difficoltà e non soluzioni è colpevole: non illudete e non illudiamo le persone, la revoca è legittima”. La Ammaturo risponde con forza a Cocchiarella, parlano la Cecchi – altro intervento fortemente criticato – e la Terzulli, con la chiusura della dem De Dominicis. “Oggi si chiede una soluzione temporanea per poter poi programmare facendo finalmente coincidere ambiente e lavoro”. Mentre fuori i lavoratori cominciano a mandare legittimi segnali di insofferenza, arriva il colpo di scena. Dopo numerosi andirivieni arriva l’annuncio di Barbet: “Stiamo preparando un documento per la sospensione temporanea degli effetti della revoca”. La tensione salita alle stelle si placa. Il presidente Mortellaro annuncia 15 minuti di pausa. Ci vorranno due ore e mezza prima della ripresa.
La commedia degli equivoci. Una vera e propria tragicommedia dal finale inaspettato. Comincia un lungo andirivieni tra i piani superiori e la piazza. Sigarette, caffè, i lavoratori mangiano e attendono, dalle finestre accese del piano del sindaco nulla trapela, se non voci e bisbigli. Quella del no del Prefetto alle ordinanze proposte dal sindaco è quella definitiva. In una confusione crescente escono Mortellaro, Di Silvio e Lomuscio per invitare ad un nuovo confronto Lippiello e i sindacati. Usciranno poco dopo, con la faccia di chi pensa di essere in mezzo ad uno scherzo di pessimo gusto. “Ci hanno proposto – diranno dopo i sindacalisti – la revoca della concessione solo per il ritombamento e non per l’estrazione. Abbiamo prima chiesto dove fossero le telecamere, perché non poteva essere altro che uno scherzo. Poi abbiamo fatto una nuova domanda: ma ci siete mai entrati in una cava?”. Lo streaming riparte, la piazza è una bolgia, a malapena si sente il no dell’assemblea alla mozione dell’opposizione, che dopo la votazione esce dall’aula. L’atto votato è quello della maggioranza, che si dice sì da sola: spetta ora al dirigente sostituto di quello che ha firmato la revoca – in trovare la strada per uscire dal disastro amministrativo che si è venuto a creare. Non vorremmo essere nei suoi panni. Di nuovo davanti al nulla, o meglio, a un enorme punto interrogativo, un atto che nulla spiega e nulla dice, i lavoratori sono increduli. E arrabbiati. Durante le fasi concitate più di un rappresentante dell’amministrazione ha lasciato il palazzo, forse consapevole di quello che stava per succedere di lì a poco. Come l’altra sera sindaco e maggioranza escono dal palazzo solo con la scorta della Polizia, in mezzo a fischi e insulti. Particolarmente tesa la situazione davanti alla scuola Leonardo da Vinci, con la Polizia schierata in linea, elmetto in testa, e i lavoratori preda della rabbia di queste giornate. L’esperienza degli agenti e il buon senso degli operai ha evitato il peggio.
Il dopo. La piazza resta viva fino a tarda notte. Ci troviamo davanti a un signore con le lacrime agli occhi. “Che vuoi che ti dica, non si sono resi conto di quello che vuol dire stare senza lavoro per noi. Siamo esasperati”. Un padre, un marito. Che potrebbe essere un padre e un marito qualunque. Intorno la convinzione che da oggi nulla sarà come prima. Che la luna di miele tra l’amministrazione e la città rischia di essere già finita, dopo un consiglio in cui emerge la debolezza di una maggioranza di fatto costretta a farsi dettare la linea dall’opposizione – il consiglio di ieri è la prova provata – e di smentire sé stessa. Un sindaco che annuncia un provvedimento senza avere le “pezze” d’appoggio necessarie, i pareri di quelle “autorità competenti” tanto citate, è simbolo di una maggioranza che da lunedì è in ufficiale e enorme difficoltà. Non si discute il merito, da anni c’è la necessità di regolamentare il comparto estrattivo, come confermato anche da imprenditori e sindacalisti: si discute il metodo, errato dal principio e paradossale in questi giorni. Presentarsi in un consiglio comunale come quello di ieri e tentare di improvvisare denota grandi difficoltà e una debolezza che rischia di diventare irreversibile. Credibilità e autorevolezza sono sparite. Ed è passato soltanto poco più di un anno dalle elezioni.
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