Un uomo si dispera. Un poliziotto lo porta con sé lontano dalla folla. Lo abbraccia e tenta di rassicurarlo. Intorno grida, occhi che si velano di lacrime, spintoni e tanta rabbia. Questo è la fotografia di una notte che in pochi riusciranno a dimenticare. La notte in cui crolla la speranza per gli operai della STR, azienda estrattiva oggetto del provvedimento di revoca della concessione per l’estrazione della pietra. L’attesa per l’annuncio del sindaco Barbet, arrivato intorno alle ore 21 di martedì 4 settembre, ha reso il caos intorno alle cave una situazione ad altissima tensione.
Due giorni di presidio. Le proteste erano cominciate nella giornata di lunedì, quando gli operai guidati dai sindacati hanno iniziato il loro sciopero, arrivando in corteo sotto il palazzo comunale. In quella giornata la riunione fiume che ha portato poi all’annuncio del primo cittadino delle tre eventuali vie da percorrere. Un annuncio di speranza – ci avevano creduto in pochi – che raccontava di un intervento del prefetto, di una azione di forza della giunta o di una sospensiva degli effetti della revoca, almeno fino alla sentenza del TAR, al quale si è rivolto l’azienda. I lavoratori hanno passato la notte al Comune, e nella giornata di martedì la lunga attesa. La gente aumentava di minuto in minuto sotto il palazzo comunale, e la tensione saliva. Voci, indiscrezioni, notizie più o meno certe si sono rincorse fino alle ore 21, quando una delegazione di sindacati e lavoratori è salita nella stanza del sindaco. Alla discesa facce di ghiaccio e una sola frase: “Adesso scende Barbet e ve lo dice lui”.
Le parole del Comune. Il primo cittadino scende, accompagnato dal vicesindaco Russo e dai consiglieri Santoboni e Cocchiarella e protetto dalla Polizia con elmetto e manganello. Nel mentre era già stato diffuso il comunicato tanto atteso, che raccontava quanto temuto fin dalla prima sera. Le opzioni messe in campo non si sono rivelate praticabili.
“Come Amministrazione Comunale siamo assolutamente consapevoli che la linea politica di regolarizzazione e riforma delle attività di escavazione del travertino nel nostro territorio costituisce nell’immediato un disagio per i lavoratori che operano nel settore delle cave, ma siamo certi che la riforma non più rimandabile porterà il beneficio che tutte le parti in causa auspicano e cercano da anni”: basterebbero queste parole a descrivere tutta la posizione del Comune, che in nessun modo ha fatto i passi annunciati nelle scorse settimane, giorni di conferme e di smentite, di tavoli regionali dove veniva assunta una posizione e di azioni che poi andavano nella direzione opposta. Nessuna mano tesa verso i lavoratori e verso le aziende: di fatto il tentativo è quello di risolvere una questione almeno trentennale a colpi di accetta, con una revoca consegnata alla vigilia di ferragosto.
Per il Comune sembra essere un punto a favore. Intorno iniziano a levarsi le voci piene di rabbia degli operai. “Stiamo mantenendo fino in fondo l’impegno assunto con tutti i cittadini che hanno dato fiducia alla visione di risanamento e di rispetto delle leggi che da sempre sosteniamo con forza”.
Agli operai resta la speranza della giustizia amministrativa. “In merito alla questione della società interessata alla revoca dell’autorizzazione, ci rimettiamo alle decisioni che esprimerà il Tribunale Amministrativo del Lazio, la cui udienza è peraltro fissata a breve”. Arriva l’impegno per continuare a valutare tutte le opzioni presenti sui tavoli in corso, sia al Comune che alla Regione. Tavoli che sindacati e imprenditori mettono in forte dubbio visto l’ormai evidente atteggiamento ambivalente dell’amministrazione comunale pentastellata. Si cercano “possibilità e proposte concrete e sostenibili per salvaguardare occupazione e rispetto del territorio”. Parafrasando, si chiudono le porte quando i buoi sono già scappati. Legittimo domandarsi perché queste proposte non siano state trovate, o perlomeno discusse, nelle scorse settimane.
“Siamo pronti a sottoscrivere l’Accordo di Programma in fase di concertazione insieme alla Regione Lazio che consentirà la salvaguardia occupazionale, la riqualificazione ambientale e un vero sviluppo sostenibile in grado di prevenire ulteriori crisi”. Il tavolo sta lì da tempo, ed è però stato già sconfessato con i fatti dal Comune.
La piazza esplode. Le grida hanno cominciato a levarsi già mentre il sindaco parlava. Alla fine del discorso i lavoratori hanno dato sfogo a tutta la loro rabbia. Da quel momento è iniziata una seconda manifestazione, con gli operai che non intendevano abbandonare la piazza. Cori e ancora insulti, il tutto sotto il controllo di una crescente presenza delle forze dell’ordine. Dentro il Comune c’erano ancora il sindaco e la maggioranza pentastellata. In piazza l’opposizione: Arianna Cacioni, Emanuele Di Silvio, Mario Lomuscio, Paola De Dominicis, Mario Proietti e Mauro De Santis hanno occupato l’aula consiliare per richiedere la convocazione di un consiglio straordinario proprio sul tema delle cave. Consiglio che viene convocato per la mattina di giovedì 6 settembre. In piazza c’era ancora Claudio Coltella, referente della CGIL. “Il sindaco si è dimostrato irrispettoso verso i lavoratori e verso i cittadini. Chi si dimostra non rispettoso del popolo che governa deve tornarsene a casa”.
Il finale. Il finale è triste, e racconta qualcosa che qui non si era ancora mai visto. Panico all’interno del palazzo, con la maggioranza di fatto impossibilitata ad uscire. Rabbia crescente fuori. Per far uscire il sindaco e altri consiglieri si è reso necessario il cordone di sicurezza della polizia, coordinato dal dirigente del commissariato di Tivoli Roberto Arneodo. I primi ad uscire sono Barbet, Russo e Cocchiarella, sommersi di insulti e fischi dagli operai e accompagnati fino a dentro la macchina dagli agenti. Poi è stata la volta di altri consiglieri, che di corsa, sempre con la protezione delle forze dell’ordine, hanno raggiunto le loro automobili e sono andati via.
Consiglio ad alta tensione. L’attenzione ora è tutta rivolta al consiglio di giovedì 6, che inevitabilmente si preannuncia infuocato. Quella di martedì è stata di fatto l’ora più buia dell’amministrazione di Guidonia, alle prese con una questione trentennale che andava trattata sì con attenzione ma anche con buon senso. Impossibile uscirne peggio di così. Gli scorsi giorni parlavamo di una partita che non avrebbe ammesso errori. Metodo, tempi, modi, comunicazione e poca chiarezza: queste le “buche” – paragone quanto mai adatto – prese dai pentastellati in queste settimane. Ora le cose sono diventate decisamente più complicate.
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