È stata chiamata “Babylonia” l’operazione congiunta condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Roma insieme ai Finanzieri del Nucleo Polizia Tributaria Roma: sono 23 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal GIP presso il Tribunale di Roma su richiesta della locale DDA ed eseguite dai militari, destinate a 23 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di appartenere a due distinte associazioni per delinquere finalizzate all’estorsione, usura, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, fraudolento trasferimento di beni e valori, con l’aggravante del metodo mafioso. Nel corso dell’operazione, sono state anche eseguite 30 perquisizioni locali.
Non finisce qui perché i Carabinieri del Comando Provinciale di Roma e i Finanzieri del Comando Provinciale GdF di Roma hanno eseguito 2 decreti di sequestro di beni emessi dal Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della Procura della Repubblica – DDA di Roma, con i quali sono stati posti sotto sequestro beni immobili, società, automobili di lusso e conti correnti per un valore complessivo di circa 280 milioni di euro. Una maxi operazione antimafia scaturita da un’indagine dei Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Roma riguardante due sodalizi criminali in vertiginosa crescita sul territorio capitolino, uno con base a Roma e l’altro a Monterotondo.
Il primo gruppo criminale è riconducibile a “Gaetano Vitagliano, personaggio di spicco nel settore del narcotraffico internazionale con “fatturati” da capogiro, contiguo al clan camorrista degli AMATO-PAGANO, denominato degli “Scissionisti”, operante a Nord di Napoli. La figura “imprenditoriale” di VITAGLIANO Gaetano, detto “Nino” emerge a partire dal 2011, in concomitanza della sua liberazione dal carcere romano di Rebibbia, ove era detenuto – scrivono i militari in una nota – per traffico internazionale di stupefacenti tra l’Olanda e l’Italia.
Da quel momento, ha costruito un vero e proprio impero, creando attorno a sé un’articolata organizzazione criminale dedita al riciclaggio ed al consequenziale reimpiego di proventi illeciti. Negli ultimi anni, il gruppo imprenditoriale ha ampliato in maniera esponenziale gli investimenti nel settore commerciale dell’esercizio di bar, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, sale slot e tabacchi, gestiti tramite numerose società intestate fraudolentemente a prestanome ed ai suoi prossimi congiunti. Le indagini hanno certificato i rapporti di natura finanziaria, finalizzati al riciclaggio di denaro sporco, tra VITAGLIANO Gaetano e SICILIANO Davide, detto “Capitone”, noto esponente del clan camorristico AMATO-PAGANO, attualmente detenuto per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti aggravata dal metodo mafioso.
Tali rapporti sono stati mantenuti, durante le fasi dell’attività d’indagine, per il tramite di SICILIANO Luigi e CAPASSO Gennaro detto “Genny”, entrambi elementi apicali del medesimo clan, rispettivamente fratello e cognato del detenuto SICILIANO Davide”. Intercettazioni, servizi dinamici sul territori ed accertamenti bancari: in questo modo gli investigatori hanno ricostruito il singolare modus operandi dell’organizzazione criminale.
“Vitagliano, sfruttando gli ingenti capitali accumulati col narcotraffico, ha acquisito numerosi locali a Roma e Milano creando società “fantasma”, utilizzate per ripulire il denaro. Il denaro ripulito, con la partecipazione di quattro funzionari di banca infedeli, due dei quali tratti in arresto – veniva poi reimpiegato nel circuito legale, tramite società create per la gestione degli esercizi commerciali, tutte fittiziamente intestate a terzi. Utilizzando il medesimo stratagemma VITAGLIANO Gaetano riciclava i proventi illeciti della famiglia SICILIANO, da cui riceveva denaro “sporco” che restituiva dopo averlo ripulito mediante cambiali e assegni bancari emessi da imprenditori compiacenti tra cui MEI Giampiero, uno degli odierni arrestati”.
Detto del complesso canale di riciclaggio ricostruito nel corso delle indagini, sono diversi i milioni di euro di provenienza illecita immessi dal Vitagliano – che li ha giustificati come “finanziamento soci” – in una società di SCANZANI Andrea, imprenditore ritenuto appartenente al sodalizio, per una realizzazione di una imponente opera edilizia nel Comune di Guidonia Montecelio. “Scanzani, dopo aver realizzato il progetto immobiliare, ha poi riconosciuto a Vitagliano la titolarità di fatto di oltre decine di appartamenti tra i 200 edificati. Alcuni di questi appartamenti sono stati poi utilizzati come corrispettivo “in nero” nella compravendita delle attività commerciali rilevate dal gruppo Vitagliano”.
L’altra organizzazione è invece capeggiata da Giuseppe Cellamare, legata al primo gruppo proprio attraverso l’imprenditore Scanzani e particolarmente attiva “nella commissione di gravi delitti contro il patrimonio, realizzati a Monterotondo, tra i quali estorsioni ed usure realizzate con il metodo mafioso, e nel successivo impiego dei proventi illeciti in bar e sale giochi, fraudolentemente intestati a prestanome”.
Cellamare negli anni ’90 era elemento di spicco della Sacra Corona Unita: divenuto collaboratore di giustizia, viene trasferito sotto protezione nel Comune di Monterotondo, dove negli ultimi anni ha ricostituito un sodalizio criminale, mutuando le modalità tipicamente mafiose utilizzate in Puglia ed adattandole al contesto territoriale dell’hinterland romano. “Nel corso delle indagini, è emerso che l’organizzazione si è imposta avvalendosi della condizione di assoggettamento derivante dalla propria “fama criminale”, ripetutamente affermatasi con atti di violenza compiuti dai membri del sodalizio al fine di recuperare i crediti delle estorsioni e delle usure.
Tra i membri del sodalizio, Cellamare ha inserito alcuni dei suoi vecchi uomini di fiducia dei tempi della S.C.U., specializzati nelle violente spedizioni punitive nei confronti delle vittime. Durante le indagini, all’organizzazione è stato sequestrato un vero e proprio arsenale, costituito da armi e munizioni comuni e da guerra. Alcune delle vittime, oltre ad essere state ripetutamente minacciate e picchiate, hanno subito gravi atti intimidatori, quali l’incendio di autovetture”. Oltre ai destinatari delle misure cautelari, risultano indagati a piede libero altri 26 soggetti, “tutti responsabili a vario titolo dei delitti fine delle associazioni capeggiate da VITAGLIANO Gaetano e da CELLAMARE Giuseppe. Tra questi rientrano anche un notaio, tre commercialisti e altri dipendenti infedeli di banca”.
Una netta sproporzione tra il reddito dichiarato e l’effettiva consistenza patrimoniale – come evidenziato dalle indagini condotte dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza – ha portato alla richiesta da parte della Procura della Repubblica di Roma e della Direzione Distrettuale Antimagia dell’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale a carico di Vitagliano, Scanzani e Cellamare, ottenendo dal Tribunale di Roma – Sezione Misure di Prevenzione, l’emissione un provvedimento di sequestro dei beni.
Sequestro che è arrivato per beni pari a 280 milioni di euro, tra cui 46 esercizi commerciali (bar, ristoranti, pizzerie e sale slot), 262 immobili, 222 rapporti finanziari/bancari, 32 auto e moto, 54 società, 24 quote societarie in Roma, Milano, Salerno, Pescara, L’Aquila e Potenza (tra i sequestri rientrano anche gli storici bar “Mizzica!” di via di Catanzaro e di Piazza Acilia, acquisiti di recente dal gruppo VITAGLIANO, il locale “Macao” di via del Gazometro frequentato dai VIP della movida romana e la nota catena di bar “Babylon Cafe”, dalla quale l’indagine prende il nome).
Nel corso delle perquisizioni sono stati individuati i nascondigli nei quali erano state occultate inaspettate parti dell’ingentissimo tesoro accumulato dai capi dei gruppi criminali colpiti dalle indagini.
Un ulteriore sequestro pari a 3 milioni di euro tra denaro e beni è stato eseguito dai Carabinieri di Via in Selci (somma che non rientra tra quelle individuate e sequestrate in virtù dei provvedimenti di prevenzione eseguiti nella giornata di ieri con la Guardia di Finanza). I Carabinieri di sono concentrati nelle attività di ricerca del malloppo, impedendo che gregari dell’organizzazione provvedessero a vanificarne l’individuazione e il sequestro.
I militari hanno meticolosamente passato al setaccio tutti gli angoli più nascosti dei noti locali interessati dall’operazione, approfondendo le verifiche e trovando 1.650.000 euro in contanti – denaro completamente estraneo alla contabilità ordinaria degli esercizi commerciali riconducibili alle bande criminali – intere collezioni di gioielli e di orologi di altissimo pregio, per un valore complessivo stimato di 1.400.000 euro.
La prova del potere finanziario dei capi, promotori e organizzatori delle associazioni criminali, passava anche attraverso la sfacciata ostentazione dei grandi status symbol ai quali non sapevano resistere, nella più classica dinamica della loro irrefrenabile sfrontatezza.
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