Trent’anni fa la tragedia di Alfredino, 60 ore di agonia sotto gli occhi degli italiani

In Cronaca & Attualità da Roma Est Magazine Commenti

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Sessanta ore di agonia in un pozzo artesiano profondo 30 metri, destinato a diventare la tomba del piccolo Alfredino Rampi, di appena sei anni. Sono passati quasi trent'anni dalla tragedia di Vermicino, che si consumo' passo passo sotto gli occhi di milioni di italiani, attraverso le immagini trasmesse dai telegiornali. Sono le 19 del 10 giugno 1981 quando il padre del piccolo Alfredo, allarmato dall'assenza del figlio, chiama la polizia. Gli agenti, arrivati sul posto, si rendono subito conto della situazione: le urla di Alfredino provengono da un'apertura circolare del terreno, con un diametro di appena 30 centimetri. Un pozzo artesiano, tra le cui pareti che sprofondano per circa 30 metri si trova incastrato l'esile bambino.

Il telegiornale da' subito la notizia, intanto i vigili del fuoco tentano di tenere sveglio il piccolo. Con il passare delle ore ci si rende conto che liberarlo e' tutt'altro che facile, visto che i tradizionali mezzi di salvataggio si rivelano inutili. La disperazione cresce mentre arrivano sul posto tecnici e speleologici, ma senza alcun esito. Allora si comincia a tentare l'impossibile, si domanda l'aiuto di contorsionisti, nani, circensi, fantini: il risultato non cambia, tutti inesorabilmente falliscono, risalendo in superficie con ferite, escoriazioni e mani vuote.

La vicenda comincia a rimbalzare da un tg all'altro, entra prepotentemente nelle case degli italiani diventando un vero caso mediatico: la sera del 12 giugno 28 milioni di telespettatori restano incollati al video a seguire la tragedia del bimbo, le cui grida sono amplificate da un microfono calato giu' nel cunicolo.

Tra i tanti tentativi di salvare Alfredino, quello di Angelo Licheri, 37 anni, ex tipografo di origine sarda, che, complice il suo fisico minuto da contorsionista, si impegna nella missione impossibile di andare a prendere il bimbo nelle viscere della terra. Licheri si fa legare per i piedi e si fa calare a testa in giu' a una profondita' di trenta metri nel pozzo artesiano.

L'obiettivo, che poi risultera' vano, e' tentare di imbragare il piccolo e portarlo su. Licheri ci va vicinissimo, ma fallisce. Quando torna in superficie scoppia in un pianto dirotto. Da quell'esperienza Licheri non si riprendera' mai piu'. Per dimenticare trascorrera' anche una lunga permanenza in Africa.

Quando fallisce il tentativo di Angelo Licheri, si provano altre strade, sempre sotto la direzione dell'ingegner Elveno Pastorelli che coordina i soccorritori. Si cerca persino di scavare un pozzo parallelo per raggiungere piu' facilmente il piccolo, ma quanto piu' la trivella perfora il terreno, tanto piu' Alfredino sprofonda nel pozzo, sempre piu' esangue e disperato.

Intanto giungono a Vermicino decine e decine di persone, compreso il presidente della Repubblica di allora, Sandro Pertini, che tenta di rincuorare personalmente il bimbo, incitandolo a resistere. Ma la gravita' della situazione peggiora di ora in ora e ogni tentativo di salvataggio, anche il piu' rocambolesco, si spegne nella completa e totale inutilita'. Il fango all'interno del cunicolo, il terreno duro da penetrare, la confusione, l'impreparazione, la sfortuna, la fretta, tutto contribuisce a decretare la sconfitta.

La mattina del 13 giugno l'Italia si arrende al falllimento: dopo 60 ore di agonia, trasmessa in diretta a reti unificate, l'annuncio e' del conduttore del Tg1, Massimo Valentini. In lacrime il giornalista comunica che il corpo di Alfredino e' scivolato giu', sprofondando per 26 metri in fondo a quel pozzo nel quale sono rimaste sepolte anche le responsabilita', mai accertate, di chi lo lascio' scoperto. Ponendo fine per sempre all'allegra corsa di un bimbo di sei anni, che giocava tranquillamente in un prato.

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