“Fermi all’età della pietra”. Legambiente sul cementificio, cave, futuro e molto altro. “Chi tutela il nostro diritto alla salute?”

In Ambiente & Territorio, Cronaca & Attualità, Primo Piano da Yari Riccardi Commenti

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Chiudere le stalle quando i buoi sono già fuggiti. Con questo paragone bucolico il Circolo Legambiente di Guidonia descrive l’intenzione dell’amministrazione comunale della Città dell’Aria di predisporre uno strumento che misuri la quantità di anidride carbonica prodotta nel comune. Un modo per effettuare una valutazione del grado di inquinamento nella nostra zona. “E' un fatto positivo – spiegano dal circolo – che i nostri Amministratori si siano resi conto che noi siamo grandi produttori di CO2 e che le ultime decisioni di tagliare gli alberi sono totalmente errate perché vanno in direzione opposta alla necessità di ridurla”. In effetti parlare di produzione di anidride carbonica e tagliare numerosi alberi è, per ritornare alle figure retoriche, un ossimoro di scarsa poesia ma di immediato impatto retorico. Gli ambientalisti spiegano tra l’altro che pensare ad un bilancio della CO2 locale è bene. Sarebbe stato meglio se fosse stato preparato “prima del rilascio delle Autorizzazioni Integrate Ambientali per il cementificio, del VI invaso di discarica e dell'impianto di TMB da costruire all'Inviolata che sono, di fatto, autorizzazioni all'aumento di emissioni di anidride carbonica diretta ed indiretta”. Parlare di anidride carbonica porta Legambiente a ricordare il protocollo d’intesa tra la Buzzi e l’amministrazione comunale, con il quale il cementificio “otteneva il nulla osta per l'aumento di produzione giornaliera di clinker e di anidride carbonica e non aveva nessun vincolo di preservare le superfici alberate sopravvissute alle loro escavazioni e di incrementarle in proporzione alla CO2 prodotta. Adesso anche l'Amministrazione si è accorta che quel protocollo è carta straccia. Di riconversione del cementificio si era già parlato proprio all'epoca del protocollo. Noi ci auguriamo che si parli seriamente di riconversione non solo del cementificio”. Una riconversione, aggiungiamo noi, sulla quale vanno coinvolti gli operai, gli unici che mai in questi anni hanno avuto voce in capitolo sul destino futuro della Buzzi, e di conseguenza sul loro.

Un futuro, che in generale, sembra girare al largo da Guidonia: nel resto del mondo si pensa a sostituti del silicio in certe produzioni, qui siamo fermi all’età della pietra. Cemento o altro che sia. Uno stand by perenne che ha portato di fatto alla crisi sociale e sanitaria che viviamo, in quanto “gli imprenditori locali non hanno mostrato – proseguono dal Circolo Legambiente – di avere nessuna progettualità per il futuro e continuano a trarre profitto da attività che non possono più convivere con l'alta densità abitativa di Guidonia. La politica nostrana, fin troppo compiacente e prossima all'imprenditoria locale, ha finora omesso di pianificare uno sviluppo sostenibile sia sotto il profilo sanitario che occupazionale nonostante siano evidenti ed acclarati i danni ambientali arrecati al territorio ed i rischi sanitari per la popolazione”. Occorre pensare al dopo cave, al dopo Unicem, e non a discapito dei lavoratori, sottolinea Legambiente,  "voci che arrivano dalla politica locale, per la quale gli ambientalisti pretendono di avere un ambiente migliore a scapito dell'occupazione”: nuove materie prime – visto che quelle che abbiamo stanno finendo – vorrebbero dire nuove devastazioni e maggiore inquinamento per un territorio già agonizzante. “Cave, industrie impattanti e alte concentrazioni abitative non possono coesistere: bisogna arrivare al più presto al confronto ed alla concertazione tra tutti i portatori d'interesse per progettare nuove modalità di sviluppo che preservi ambiente, salute e lavoro. Si tratta di sedersi attorno al tavolo di Agenda 21 locale per discutere di un futuro sostenibile per tutti”.

Legambiente chiude ricordando la relazione finale dello “Studio di mortalità per causa tra la popolazione di Guidonia – Montecelio in rapporto agli inquinanti ambientali”: bronchite cronica, pneumoconiosi e asma, malattie dello stomaco, esofago e duodeno. Malattie per le quali, negli anni 1993/2002, si è osservato un aumento di rischio di mortalità, rispetto a quelle respiratorie, e un incremento di mortalità per le altre descritte sopra. Un problema dovuto, secondo gli studiosi che hanno effettuato la relazione, a un probabile legame con l’ esposizione ad inquinanti ambientali ed occupazionali, vista “le attività industriali che espongono i lavoratori a polveri silicotigene dannose per le vie respiratorie”. Relazione che si ferma al 2002. Sono passati quasi 10 anni. E sono passate anche un paio di indagini epidemiologiche che poco hanno aggiunto a questo quadro non troppo allegro. Legambiente chiude con una domanda fondamentale: “Il nostro diritto alla salute è tutelato?”. Per le risposte ormai non c’è più molto tempo.

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