Questa è L’Aquila. Una città che non c’è. Una comunità da ricostruire. Una prigione per chi ci vive in cattività da 3 anni, in attesa di un qualcosa promesso e pubblicizzato che ancora non arriva. E chissà quando arriverà. Abbiamo deciso di ricordare il drammatico sisma che ha sconvolto l’Abruzzo da un punto di vista diverso. Il ricordo, la rabbia, la rassegnazione. Tre stati d’animo rappresentati in “Questa è L’Aquila”, una raccolta di storie di chi vive e non se ne è mai andato da una città a pezzi, nel corpo e nella mente. Un documentario di forte impatto emotivo, che tuttavia resta lucido per mantenere lo scopo principale: quello di raccontare, di riportare le voci a tre anni dal terremoto. Il progetto, realizzato da Anpas e Shoot4change, “è il mosaico collettivo di «comunità sparpagliate», come dice una delle protagoniste, di persone che hanno perso «il luogo del vivere». Ogni storia è la testimonianza – raccontano i registi, Andrea Cardoni e Andrea Ranalli – di un cittadino aquilano: è il ricordo del terremoto di una giornalista, il racconto degli ultimi tre anni di vita di due sportivi (rugby e basket), gli aneddoti e le storie del Collettivo 3.32 e di una docente universitaria, le trasformazioni della vita quotidiana degli aquilani che hanno vissuto nelle tendopoli”. Abbiamo visto il documentario durante la conferenza stampa che si è tenuta il 5 aprile presso la Sala Conferenze della sede dei Gruppi Consiliari di Roma Capitale . Molte le personalità presenti, oltre naturalmente ai due autori: c’erano Fausto Casini (presidente Anpas), Antonio Amendola (presidente Shoot4change), Paolo Masini (consigliere comunale), Andrea Volterrani (sociologo Università Tor Vergata). A coordinare l’incontro Giovanni Anversa (giornalista Rai). Ovviamente il dibattito è stato interessante, visto il tenore degli intervenuti (da segnalare in positivo una forte e netta presa di posizione di Casini, “stufo di pacche sulla spalla e della frase: voi siete la parte buona dell’Italia. Noi, come tutto il volontariato, vogliamo dire la nostra, e vogliamo essere considerati sempre”), ma l’attenzione era tutta per il documentario, 20 minuti da bere tutti in sorso, talmente era difficile staccare gli occhi dallo schermo. L’emozione ancora visibile di un soccorritore – “io non voglio gli strumenti, io voglio fare: non siamo terremotati, siamo trattati da terremotati” – che ricorda momenti tragici e non di quella notte, la commozione nel ricordo, il miscuglio di rabbia e rassegnazione nel vedere quello che è diventata la loro città. Esattamente come 3 anni fa, nonostante promesse e proclami evidentemente più di facciata che di sostanza. Ci si può immaginare di “vivere in cattività”, come ha detto una donna, nella propria città? La città ora “vive” attraverso i centri commerciali, niente centro storico, niente portici. Il colore dell’università non c’è più, crollato insieme a sogni altrettanto colorati scomparsi quella notte. E’ complicato anche solo pensare al fatto di non sapere se una persona sia morta o meno, perché al momento i centri di aggregazione sono spariti, e perché il terremoto ha rotto rapporti magari non nella forma, ma di certo nella sostanza. Fa male vedere “Questa è L’Aquila”. Fa male al cuore comprendere che ci hanno preso in giro, li hanno presi in giro. Ma fa anche bene, è addirittura terapeutico: vedere gente che ha ancora la forza di raccontare, nonostante il dolore, nonostante la rassegnazione, nonostante la rabbia. Finchè ci sarà questa forza, ci sarà modo di gridare e di squarciare certi veli. Finché ci saranno questi progetti i cittadini aquilani non resteranno soli. Vale la pena vedere questi 20 minuti. Perché riportano indietro nel tempo e ti scaraventano nel presente, con un risveglio brusco e violento come quei lunghissimi e tremendi minuti di 3 anni fa. Sembra una vita fa. Dalle immagini, sembra ieri.
Di seguito i link dove poter vedere l’intero documentario.
http://www.anpasnazionale.org/anpas-per-l-aquila.html
http://www.shoot4change.net/laquila/
(per le foto ringraziamo Andrea Cardoni e il presskit di Anpasnazionale.org)
Condividi