Tivoli/Capobianchi attacca sui derivati: «Hanno perso i tiburtini: la maggioranza doveva seguire il mandato della delibera 70/2011, invece di revocarla»

In Cronaca & Attualità, Politica, Primo Piano da Yari Riccardi

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L’approvazione dell’accordo transattivo per l’annullamento degli ormai famosi contratti derivati arrivata nel consiglio comunale che si è tenuto a Tivoli nella giornata di lunedì – votato dalla maggioranza e dal Movimento 5 Stelle – inizia, come prevedibile, a far discutere. «Non hanno fatto nessuna grande operazione come vogliono far credere – spiega Marino Capobianchi, presidente della lista Alleanza per Tivoli – ma hanno di fatto risuscitato i derivati andando a revocare la delibera del 2011». Una storia che comincia nel 2005, quando con delibera 36 il consiglio comunale decise per la sottoscrizione dei contratti:

(si legge nella delibera approvata il 27 febbraio)

a. un contratto “collar swap” con capitale nozionale pari ad Euro 32.087.000,00 con scadenza finale al 30 giugno 2025 (“IRS 1“) sottoscritto in data 28 aprile 2005 a copertura di un prestito obbligazionario (il “Prestito Obbligazionario”) di pari importo emesso a fronte della estinzione anticipata dei mutui stipulati con la Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. prima del 31 dicembre 1996 ai sensi dell’art. 41 seconda parte secondo comma (Finanza degli Enti Territoriali) della Legge 28 dicembre 2001 n. 448 (“Legge 448“), nonché la contestuale estinzione anticipata di un’operazione di interest rate swap conclusa in data 18 marzo 2003;

b. un contratto “collar swap” a copertura di altri mutui con capitale nozionale pari ad euro 9.143,225,95 con scadenza finale al 31 dicembre 2024 (“IRS 2“), anch’esso stipulato in data 28 aprile 2005

Derivati che salirono poi agli onori delle cronache per i costi occulti denunciati da Report, accertati anche a Tivoli nel 2010 dalla valutazione effettuata dal dottor Paolo Baroni, su incarico proprio di Capobianchi. Rilevata la criticità si passava alle vie di fatto con la delibera consiliare n. 70 del 29 novembre 2011 il Comune di Tivoli decideva di annullare la 36/2005 e tutti gli atti e provvedimenti consiliari che avevano reso attuabile la stipula dei Contratti Derivati nonché di dare mandato alla Giunta Comunale e al dirigente del servizio finanziario di adottare i conseguenti provvedimenti volti ad annullare gli atti amministrativi esecutivi della delibera in questione, ed ulteriormente di “autorizzare il Sindaco e la Giunta Comunale ad avviare le procedure giudiziarie necessarie per ottenere e difendere anche in giudizio l’annullamento delle operoni di swap e irs sottoscritte e/o la revoca dell’efficacia dei contratti in corso ed il risarcimento dei danni in merito”. La banca fa ricorso e nel 2014 il Tar lo respinge, specificando tuttavia la possibilità per l’istituto di rivolgersi alla giustizia ordinaria. Cosa che la banca non farà mai. Un caso del tutto simile a quello di tanti altri comuni. Il resto è cronaca di oggi. «L’accordo ratificato il 27 febbraio dal Consiglio Comunale non tiene conto del fatto che i derivati, sottoscritti nel 2005, contengono il pagamento di costi occulti – prosegue Capobianchi  a nome della lista – alla banca. Nel 2011, appena si è reso conto di ciò, il Consiglio Comunale ha annullato in autotutela i derivati. La Banca ha presentato ricorso ma, nel febbraio 2014, il Tar Lazio lo ha rigettato». Alleanza per Tivoli fa poi i conti. «La maggioranza si ostina a non parlare dei costi occulti dei derivati che sono stati quantificati in euro 2.951.487,62. Si sbandiera invece il presunto risultato di 3.000.000,00 di euro che, in realtà, rappresentano solo il tentativo di sanare proprio i costi occulti. In altre parole, con l’accordo ratificato dal Consiglio Comunale, il Comune paga 8.000.000 per risolvere un contratto viziato, e fa passare per sconto i costi occulti accertati e pagati. A perdere sono i Tiburtini che non hanno avuto la possibilità di vedere risarcito il danno morale ed economico per il torto subito». Il punto cruciale resta quello del 2014, quando la banca ha perso il Ricorso al Tar. «In quel momento il Comune avrebbe potuto e dovuto esigere l’azzeramento del mark to market, come avvenuto in altre realtà. Bastava seguire il mandato della delibera 70/2011, invece di revocarla».

 

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