Sono donne. E sono storie. Sono storie di donne disperate, deluse, violate. Donne forti, che non si piegano. Storie di donne che avevano bisogno di una porta aperta. Una porta, quello del Centro Antiviolenza gestito da Centrailsogno all’Ihg che dal 31 marzo – termine dell’ultima proroga – sarà chiusa fino a data di destinarsi, ossia fino al prossimo bando per l’assegnazione. Già dal 16 marzo, giorno della comunicazione arrivata alla presidentessa Teresa Zampino dal settore dei Servizi Sociali, il personale del centro si è attivato per avvisare le donne che avevano iniziato il loro percorso all’interno della struttura che il servizio si stava avviando alla sospensione in attesa del bando: l’associazione, che ha iniziato la gestione delle attività nel 2016, proprio l’8 marzo, non ha ancora mai ricevuto il rimborso previsto dalla convenzione. Tredici mesi di donne accolte e ascoltate. Donne che hanno deciso di raccontare la loro storia all’interno del centro antiviolenza. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con due di loro.
La porta chiusa. “Sono arrivata presto, e ancora non c’era nessuno. Vedere la porta chiusa è stato davvero triste”. Le parole sono di una ragazza straniera presa in carico dal centro da ottobre 2016, per un percorso di sostegno psicologico. Un iter in questo caso da fare necessariamente in un ente pubblico, come richiesto dal Tribunale. La donna racconta il suo percorso con l’associazione, una strada definita «importante, non solo per il supporto psicologico, ma anche per la tutela dei miei diritti e di quelli di mia figlia». Un’espressione utilizzata rappresenta perfettamente il ruolo che il centro antiviolenza rappresenta per queste donne. “Non sono sola, qui ho finalmente trovato qualcuno che mi ascolta. O meglio, l’avevo trovato. E ora? Dove vado? Come ricomincio? Quale porta apro? Dovrò cercare, certamente, ma dove? Non è solamente un mio problema, ma di tutte quelle donne e quelle ragazze che ho incontrato qui in questi mesi. Vedere oggi il centro chiuso è stato devastante. Ed ero solamente arrivata in anticipo. Domani dietro la porta non ci sarà nessuno. E chissà fino a quando”. Paure che ovviamente in questi casi non possono che essere condivise.
“Scambio e confronto: struttura indispensabile”. Accoglienza. Questa è la parola che ripete più volte una ragazza, questa volta italiana, quando condivide la sua esperienza all’interno del centro antiviolenza. Quello di Guidonia è solamente l’ultima tappa, per un cammino iniziato nel 2001. Una storia di violenza e di mobbing. “Sono una veterana di queste strutture. Sono venuta a conoscenza del centro dell’associazione nazionale Centrailsogno leggendo un cartello all’interno della Asl, e sapere dell’imminente chiusura mi rattrista davvero”. Il sostegno psicologico pubblico ha un costo, privato ne ha un altro. E già questo è un importante spunto di riflessione sull’importanza di questo servizio. “Qui ho trovato supporto, ho avuto la possibilità di parlare con altre donne e di confrontarmi. Ho avuto modo di toccare con mano determinati aspetti e non mi spiego francamente le motivazioni alla base della chiusura”. Paura e vergogna sono spesso i meccanismi che si innescano dopo aver subito qualsiasi tipo di violenza. “Non è per niente facile fare il primo passo e entrare in contatto con un centro antiviolenza. Io fui spinta dalla mia legale”. Serve forza, e non può essere altrimenti. Spesso solo quella di fare una telefonata. “Una volta composto il numero scatta una molla che poi è praticamente impossibile fermare, e solo così può iniziare il percorso di ascolto e di sostegno. Si entra come vittime, si inizia il cammino con tanta forza di volontà, si diventa pian piano un testimone, di come si cresce, di come si torna a respirare. Di come, giorno, dopo giorno, non si è più vittime”. Gli occhi lucidi, la voce spesso interrotta dall’emozione. Oggi la porta è ancora aperta. Domani?
Condividi