La Chiesa nel corso dei secoli è stata determinante per la nascita e il rafforzamento della lingua italiana e tuttora si rivela importantissima per la sua diffusione internazionale. E’ questa la tesi di fondo del volume “L’italiano nella Chiesa fra passato e presente” (editore Allemandi & C.), presentato mercoledì 16 marzo nella suggestiva Galleria del Primaticcio a Palazzo Firenze, sede romana della Società Dante Alighieri, e curato dal responsabile scientifico del PLIDA, Massimo Arcangeli.
Nel volume, introdotto dal ministro Frattini e dal sottosegretario Letta e proposto all’interno del ricco programma di eventi promossi dalla “Dante” per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, si ripercorrono le tappe fondamentali della nascita della lingua italiana in un intreccio indissolubile con la storia della Chiesa. Si parte dall’analisi della lingua ecclesiastica e della predicazione nel Medioevo e, passando per le lingue dei catechismi e per l’acculturazione femminile nelle congregazioni religiose, si arriva ai temi più propriamente socio-comunicativi della diffusione dell’italiano nel mondo attraverso la religione e la Chiesa cattolica sino agli indirizzi di politica linguistica della Santa Sede e all’analisi degli stili linguistici e comunicativi degli ultimi due pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
La Chiesa, dal Medioevo in poi, rappresentò l’unica fonte di apprendimento della lingua italiana per i fedeli che non conoscevano il latino. La necessità che il popolo recepisse la dottrina della fede portò l’istituzione ecclesiastica ad abbandonare l’uso del latino nella predicazione a favore del volgare, sia nel parlato che nello scritto. «Le lingue adoperate dalla Chiesa per mettere in atto la propria strategia – afferma nel suo intervento Rita Librandi, docente di Storia della lingua italiana e Linguistica italiana all’Università di Napoli “L’Orientale” – erano molteplici, era quasi un continuum ininterrotto che passava dalla varietà più elevata dell’italiano letterario agli italiani regionali, ai dialetti e alla comunicazione più popolare». Ma anche dopo l’Unità d’Italia – tra la fine del XIX secolo e il primo conflitto mondiale – nonostante la lacerante frattura di Porta Pia e la conseguente laicizzazione del Paese che si sommava a un generale miglioramento nelle condizioni di vita, l’apporto della Chiesa non perse in incisività grazie all’azione sociale determinata dall’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII.
Sono due, secondo Saverio Simonelli – responsabile dei programmi culturali di Tv2000 – le tendenze insite da sempre nella comunicazione della Chiesa: l’aderenza alla Parola e la necessità della divulgazione più ampia possibile della dottrina attraverso la Parola. Nel suo intervento, il giornalista si sofferma in particolare sul contributo che analizza le «diversità nella continuità» degli ultimi due pontefici. Di particolare interesse secondo Simonelli è l’analisi sintattica proposta nel saggio, che ravvisa la predilezione di papa Wojtyla per una prosa paratattica – ossia con poche subordinate e frasi brevi ma incisive – contro la preferenza per la subordinazione del suo successore, Ratzinger, capace di rendere il discorso sempre più comprensibile al suo uditorio.
Chiude la serata l’intervento del linguista Massimo Arcangeli, professore ordinario di Linguistica italiana all’Università di Cagliari, che ripropone la compresenza di necessità comunicativa e aderenza alla Verità come pilastri nella storia passata e presente della lingua ecclesiastica e auspica la realizzazione di una mostra documentaria e virtuale che riproponga per tappe la storia dei rapporti tra Stato Italiano e Vaticano in questo 2011, “anno da non dimenticare”.
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