Ho letto molte critiche sulla fiction proposta da Rai 1 in due puntate, su Fabrizio De André – Principe libero, interpretato da Luca Marinelli, diretto da Facchini, con Ennio Fantastichini, Elena Radonicich e Valentina Bellè. Un grande successo, con uno share al 25,5 per cento, pensate, Faber “meglio” de L’isola dei Famosi.
De Andrè non era il tizio “dall’aria triste e meditabonda, che ha svolto negli anni passati il ruolo di cantautore impegnato ma non troppo, denunciando situazioni in cui difficilmente si è trovato se non a livello emotivo”. Era molto, molto di più e non era tutto qui. Pur amando molto Luca Marinelli che è oggettivamente un artista molto valido e intenso, non si può pensare di portare in scena De Andrè, perché un artista immenso come Faber non si può raccontare in due ore, né in tre, né in dieci. Era un uomo, un artista, molto complesso, schivo, malinconico, vero. Non era un personaggio televisivo, amava i disperati e gli emarginati, quelli che lui chiamava “gli ultimi”. Detestava l’ipocrisia e i canali prestabiliti.
Abbiamo ascoltato in una scena, la meravigliosa “Disamistade”. Ho messo le cuffie, al buio, di notte ed ho ascoltato tutto l’album Anime salve, un disco di immensa bellezza che più si va avanti con l’età e più fa salire le lacrime agli occhi. De Andrè è lì. E solo lì.
Mi sono chiesta se fosse vivo, nel contesto attuale socio-politico-culturale, cosa direbbe: credo che la risposta non mi piacerebbe.
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