Una sorta di prevenzione, prima di dover affrontare eventuali problemi che hanno a che fare con rifiuti da incenerire (ipotesi tuttavia già smentita dall’amministrazione comunale di Guidonia). Parliamo del sit in che si è svolto sabato 2 febbraio davanti ai cancelli della Buzzi Unicem, vuota come spesso accade nei fine settimana. Manifestazione – presenti tutte le associazioni ambientaliste di zona (Legambiente, CRA, Il Faro, Amici dell’Inviolata) cittadini comuni, e rappresentanti del Movimento 5 Stelle locale: c’erano più o meno 60 persone – voluta per denunciare “un nuovo attacco alla salute ed alla salubrità – spiegano i membri del CRA – dell’ambiente che viene portato dallo schema di Decreto Presidenziale approvato del Consiglio dei ministri il 26 ottobre 2012, approvato dal Senato la settimana scorsa ed in corso di approvazione definitiva alla Camera”. Il provvedimento in questione disciplina la combustione dei rifiuti nei cementifici, posizionando il CDR nella classe dei CSS, cioè Combustibile Solido Secondario. Una sorta di “rivalutazione energetica” del combustibile da rifiuto. Cosa cambia nello specifico?
“E’ un provvedimento – prosegue il CRA – che disciplina la combustione di rifiuti nei cementifici, in parziale sostituzione di combustibili fossili tradizionali. Esso aggrava pesantemente quanto già previsto dal D. M. Sviluppo Economico del 6 luglio 2012, con cui il ministro Passera aveva liberalizzato la speculazione legata alla produzione di energia da impianti a biomassa agricola. Il CSS, non più definito “rifiuto urbano”, ma “rifiuto speciale”, viene esentato dall’obbligo di essere trattato entro i confini regionali, diventando un prodotto industriale “di libera circolazione” che va a sostituire i combustibili tradizionali nei cementifici ed entra nel business dello smaltimento dei rifiuti”. Il decreto, secondo le associazioni, può facilitare la Buzzi nella richiesta di revisione dell’Aia (scadenza 2015) e pone ufficialmente i rifiuti nel ciclo di produzione del cemento, con un notevole risparmio per le aziende, che si troverebbero anche a ricevere soldi per “accogliere” immondizia negli stabilimenti. “Diciamo che, visto che i rifiuti diventano in questo modo effettivamente combustibili, quindi beni soggetti a transazione, dovremmo arrivare almeno al processo contrario: se io ente pubblico ti do il materiale per alimentare i tuoi stabilimenti, tu me lo paghi”. Come quando andiamo a fare benzina per le nostre automobili: carburante, che noi paghiamo per le nostre macchine. Specificando che non si è trattato di una protesta contro la Buzzi, ma contro il decreto, il CRA dipinge probabili scenari futuri. “Il cementificio produce già un impatto ambientale e sanitario incompatibile con il territorio. Se a questo aggiungiamo anche la combustione dei derivati dai rifiuti, lo stabilimento immetterà nell’aria una enorme varietà di altre sostanze nocive, tossiche, cancerogene e teratogene che si andranno ad aggiungere alle emissioni attuali del cementificio. Da un lato vengono esposte le popolazioni al rischio di patologie cancerogene derivate da inquinamento atmosferico da polveri sottili ed ultrasottili, mentre dall’altro, a causa dell’incentivazione con CIP6 e Certificati Verdi, viene di fatto impedito l’avvio dell’industria del riciclo. Davanti all’ennesimo pericolo per la salute dei residenti e per la salubrità ambientale; di fronte all’inconsistenza della politica locale, pronta sempre ad accettare impianti devastanti per il nostro territorio; l’unica opposizione è quella formata dai cittadini coscienti, dalle associazioni e dai comitati locali”. Si parla solo di ipotesi. La voce che la Buzzi voglia chiedere la revisione dell’AIA ritorna ciclicamente nel dibattito ambientale che spesso ha visto contrapposte associazioni e praticamente tutte le amministrazioni comunali che si sono succedute nel corso degli anni.
Il protocollo d’intesa Buzzi – Città di Guidonia. Uno dei punti cruciali dei rapporti tra cementificio e città è stato appunto il documento stipulato nel 2009. Un protocollo d’intesa che per le associazioni è rimasto lettera morta ((“la piantumazione promessa, tanto per fare un esempio , si è fermata solamente allo spostamento di alberi da una parte e il riposizionarli dall’altra”) e che invece viene difeso con forza dall’amministrazione. Anche perché esclude proprio l’eventualità per cui si è svolta la manifestazione. Lo assicura Andrea Di Palma, assessore all’Ambiente e all’epoca dirigente del settore Tutela Ambientale. “Il protocollo – ha spiegato – non è stato assolutamente disatteso, anzi, ha dato e sta dando ottimi risultati: dal 2009 le emissioni sono sotto controllo, i superamenti sono ampiamente sotto i valori previsti, e, soprattutto, nel protocollo viene esclusa l’eventualità che il cementificio possa bruciare i rifiuti. O meglio, lo vieta del tutto”.
Venti di proteste. Vicenda senza dubbio complessa, come tutte quelle che hanno visto come protagonista lo stabilimento – stavolta protagonista di riflesso, visto che il decreto non si riferisce evidentemente solo alla Buzzi – che molto ha dato alla città a livello occupazionale, e questo è bene ricordarlo, anche per evitare folli progetti di riconversione che spesso vengono presentati in campagna elettorale (ne abbiamo ancora in mente uno che pretendeva di trasformare tutto in un grande parco giochi). Basti solo pensare che il ministro del Lavoro Elsa Fornero era membro del CdA della Buzzi: questo la dice tutta sull’entità dell’industria e dei suoi investitori e investimenti. Il nostro dubbio sta qui: può un colosso del genere sporcarsi le mani e incenerire rifiuti? Quello che è certo è che il decreto Clini è destinato far discutere. E che le proteste certamente non si fermeranno qui.
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