Montecelio: al teatro Vittori applausi a scena aperta per lo spettacolo “Noi non siamo qui”

In In Evidenza, Primo Piano da Riccardo Sgroi Commenti

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Lunedì 23 è andato in scena un altro spettacolo al teatro Vittori di Montecelio, che conferma di essere in gran forma e proporre continuamente novità e rivisitazioni di grande qualità. Questa volta ad andare in scena è stata la compagnia professionista Baby Gang,  con attori diplomati alla Scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano, ma provenienti da tutta Italia. “Noi non siamo qui” è uno spettacolo che si sviluppa sul teatro dell’assurdo, strizzando l’occhio al maestro Samuel Beckett e all’italiano Carmelo Bene e ha nelle sue caratteristiche una trama non troppo lineare, a volte di difficile comprensione, ma che gli attori hanno saputo interpretare con grande energia e pathos,  trasmettendo una fortissima emozionalità a tutto il pubblico presente. Chiaramente i maggiori apprezzamenti sono arrivati da quella parte del pubblico che possiamo definire “addetti ai lavori” (tra i quali il regista  Salvatore Casertano, fresco vincitore del Corvo d’oro 2011), ma la disponibilità della compagnia a chiacchierare con tutti i presenti a fine spettacolo ha dato la possibilità a tutti di confrontarsi su dubbi inerenti alle varie interpretazioni. I quattro protagonisti che hanno per identità dei semplici numeri , si trovano chiusi in una stanza con un bidone ed una porta e aspettano un qualcosa che non conoscono neanche loro; così queste quattro marionette danno vita a deliranti dialoghi, carichi di emozioni ma anche di luoghi comuni, e scene a volte audaci capaci di incollare gli spettatori alle poltrone: un nudo (quasi integrale), violenze, morti vere o finte e i monologhi sono scene di una quotidianità che sfiora la follia ma sono anche dei graffi profondi che gli attori fanno su quell’impalpabile tela che li divide dal pubblico, che li divide dalla realtà. L’ultima scena emblematica manda agli spettatori  un interrogativo quasi insolubile, forse esistenziale; e ci si alza sconcertati, increduli, insicuri, dubitando di aver afferrato la chiave di lettura di questo spettacolo ma anche della realtà che ci circonda. Per fortuna al termine dello spettacolo la compagnia dopo aver ricevuto più volte i meritati applausi, si è seduta a bordo palco per una chiacchierata con l’intento di dissolvere, solo in parte, qualche dubbio di riavvicinarsi un po’ al pubblico: si scopre dunque che per realizzare lo spettacolo ci sono voluti oltre quattro mesi, mentre le prove degli ultimi dieci giorni andavano al ritmo martellante di dieci ore giornaliere. La talentuosa regista  Carolina De La Calle Casanova ha inoltre ammesso che alcune scene erano un doveroso omaggio al grande Beckett, ma altre erano pensate come uno strappo col passato, ha specificato che “Alcuni hanno anche criticato la scelta di mettere in scena un seminudo, ma secondo noi era necessaria per dare al pubblico una sensazione ancora più accentuata di realismo”, “E’ il primo seno del teatro Vittori” ha aggiunto sorridendo il direttore artistico Sergio Fedeli.  La scena “spoglia” (anche lei) e i costumi semplici, con il colore nero come protagonista e dei cappelli modello borsalino (ma che ammiccavano alle bombette kubrickiane di Arancia meccanica), ha dato maggior spessore alle grandi doti di recitazione dei quattro attori Federico Bonacorza, Mario Fedeli, Andrea Pinna e Valentina Scuderi: la capacità espressiva e mimica ha avvicinato il pubblico alle emozioni che la scena di volta in volta proponeva, mentre la vivacità fisica,tenendo conto dell’ora intera di recitazione senza pause, ha dato allo spettacolo un movimento necessario  per spezzare l’immobilità della scena. Un plauso anche alle luci e alla scelta di accompagnare con la musica dal vivo del solista Arcuri (rimpiazzo davvero all’altezza dell’ultima ora). “Chissà se mi è sfuggito qualcosa?” mi chiedo uscendo dal teatro. Probabilmente si. Ma la domanda si estende a macchia d’olio su ogni realtà circostante e alcuni dubbi restano tali, scuri e misteriosi come la notte: non sono esperto di teatro, ma la capacità di offrire spunti di riflessione è un’arte che affascina e va applaudita (e magari preservata).

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