Parlare di Paolo Borsellino oggi sarebbe fin troppo facile. Raccontarlo, descriverne la figura e l’eredità morale a 26 anni dall’attentato di Via D’Amelio, inserirlo nel contesto di oggi inevitabilmente caratterizzato dal suo sacrificio e da quello di Giovanni Falcone, parlare di esempio e di memoria è un compito che lasciamo a un esperto. Oggi ricordiamo il giudice Paolo Borsellino, ucciso sotto casa della mamma, insieme alla sua scorta: era il 19 luglio 1992, un anno insanguinato per il nostro Paese. Lo ricordiamo con il contributo di Francesco Agosti, responsabile del Movimento Agende Rosse di Guidonia e studioso, per lavoro e per passione, del fenomeno odioso della criminalità organizzata. A Francesco il nostro ringraziamento, per l’opportunità che offre ai nostri lettori. E a noi.
Chi è Paolo Borsellino? Paolo Borsellino è un eroe del mito greco, quelli che con le loro gesta erano esaltati da cantori e filosofi, per descriverne eroismi e virtù morali che andavano a formare la società civile. Allo stesso tempo ha condotto una vita basata sulla naturalezza e sulla profonda umanità. Forse la sua grandezza è stata data proprio dall’affrontare prove sovrumane e non comuni, con un approccio alla vita semplice, umano, caratterizzato dal profondo rispetto che lui aveva verso gli altri, fosse una massima carica dello Stato o l’ultimo dei mafiosi, ma che generava a sua volta il massimo del rispetto da parte degli altri nei suoi confronti.
È questa la grande differenza con il suo “fratello di spirito”, Giovanni Falcone, più timido di Borsellino e che affrontava la vita con la stessa voglia ma in maniera molto più distaccata.
Posso dire anche cosa è per me Borsellino: è una situazione strana da spiegare. Come ho detto al fratello Salvatore, io nel ‘92 avevo solo due anni e non ho avuto modo di conoscerlo personalmente, ma con gli anni mi sono sempre più documentato, fino agli aspetti più profondi della sua vita, perché la reputo davvero una vita straordinaria e unica. Per me è stata una folgorazione. E si rimane folgorati nel momento in cui non ci si sofferma solo sulla figura di Borsellino raccontata dai giornali o dalle tv, ma addentrandosi proprio nella sua vita.
È strana da spiegare come situazione perché è una figura che ha influito tantissimo nella mia vita e influenza davvero ogni mia decisione. Mi chiedo “cosa avrebbe fatto lui in questa occasione?”. Tanta è l’empatia che provo verso di lui che a volte lo considero quasi un parente, ma per me è anche un esempio, è un amico, è una guida spirituale, una religione, un modo di essere, ed è sicuramente la persona che più di tutte ha influito in me.
Questo è un anno particolare poi, perché sono state appena depositate le motivazioni della sentenza del c.d. Borsellino Quater, nel quale viene dichiarata per la prima volta da una sentenza il depistaggio avvenuto in occasione della morte di Borsellino e degli agenti della sua scorta. È una situazione assurda e paradossale. Proprio Borsellino, che da uomo di destra credeva profondamente nelle Istituzioni e nell’Arma, tanto che quando gli fu riferito che uomini dello Stato stavano trattando con mafiosi ha avuto dei conati di vomito, è stato tradito da uomini che occupavano incarichi istituzionali.
Un grande disegno criminale che inizia da un momento precedente alla strage, con il pentito Gaspare Spatuzza che dichiara che a imbottire l’autobomba che servì per via d’Amelio c’era anche una persona non appartenente alle cosche mafiose, per poi passare con l’inquinamento della scena del crimine un secondo successivo alla strage, con la sparizione dell’agenda rossa e che è continuata per anni con un gruppo di poliziotti che ha “inventato” un falso pentito, creando quello che è stato definito dalla corte d’assise di Caltanissetta come “il più grande depistaggio della storia repubblicana”.
Incredibile solo a pensarlo. Borsellino stava combattendo una guerra, ma di solito in guerra si viene uccisi dal nemico, non dal fuoco amico che lo ha colpito alle spalle. È stato tradito dalle persone che più gli stavano accanto peraltro. E questo non è perdonabile. Di questi fatti, al di là della recente sentenza, se ne sarebbe dovuto parlare da anni, perché è uno scandalo immane, che al confronto il Watergate è cosa da poco, eppure tranne pochi sparuti non si sentono voci che gridano, non si sentono proteste, nessuno che si alzi e dica: “Io in questo Stato che tradisce i suoi figli migliori non ci voglio stare”. È tutto assopito in questa Italia. Tutto scorre, nulla fa più indignare. Borsellino rappresenta tutti noi, è il simbolo della parte bella del nostro Paese, e bisognerebbe entrare nell’idea che non è stato tradito solo lui, ma tutti noi siamo stati traditi.
Ci sono tante persone che sono state cambiate da Paolo Borsellino. Tante persone grazie a lui hanno scelto una strada invece che un’altra. Quante persone sono in grado di influenzare altre persone pur non conoscendole direttamente? Lui diceva “Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché in vero amore consiste nell’amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare”.
La lotta alla mafia ogni giorno si rinnova attraverso il suo esempio, e questa sua frase è un elogio all’amore. In poche righe l’amore qui compare 3 volte. E la lotta alla mafia consiste in questo: nell’amore che si ha per questo Paese. È facile e allo stesso tempo rispettabile scappare dall’Italia come fanno tanti, ma poi a chi lasciamo questa nostra Italia? A chi l’ha ridotta così e che quindi sono stati indirettamente la causa per cui i ragazzi italiani vanno a vivere all’estero?
Cercare di debellare il fenomeno mafioso, ognuno per la sua parte, per ciò che può fare, è un atto d’amore verso l’Italia e verso i nuovi italiani che nasceranno e che troveranno un paese più pulito. E bisogno farlo con tutte le nostre forze, anche a costo di rimetterci personalmente, proprio come ci ha insegnato Paolo Borsellino, che ha sacrificato per l’Italia il bene più grande: la sua vita.
Francesco Agosti
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