Guidonia. Sequestro Tmb, i dettagli della sentenza della Cassazione

In Ambiente & Territorio, Cronaca & Attualità, In Evidenza, Politica, Primo Piano da Yari Riccardi

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“Il ricorso è fondato e va accolto”. Basterebbe questa frase a racchiudere il senso della sentenza della Cassazione che ha portato al nuovo sequestro dell’impianto Tmb all’Inviolata. Atto, quello della Corte, che ha annullato la sentenza del Tribunale del Riesame del mese di settembre 2014, che aveva disposto il dissequestro dopo i primi sigilli nel luglio dello stesso anno, arrivati per la mancanza del parere paesaggistico, obbligatorio e vincolante. Dopo l’analisi dei fatti avvenuti negli scorsi anni, con il Gip del Tribunale di Tivoli che nel 2014 disponeva il sequestro preventivo dell’area di proprietà della Colari – Ambiente Guidonia, del legale rappresentante Francesco Zadotti, “su cui la Edil Moter srl, con legale rapp.te Isabella Stolfi, aveva realizzato  – si legge nella sentenza – opere edili volte alla creazione di una struttura per il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti, modificando l’originario assetto dei luoghi, sottoposti a vincolo paesaggistico in difetto di valido titolo abilitativo”. Già in quel passaggio veniva accertato che “l’Autorizzazione Integrata Ambientale, rilasciata con determinazione Dirigenziale Regionale del 2/8/2010 n. 1869 era illegittima, in quanto emessa senza il preventivo nulla-osta dellaDirezione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio e del parere vincolante della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo”. Arriva il mese di settembre del 2014, e il Tribunale di Roma, chiamato a pronunciarsi sulle richieste di riesame, avanzate dallo Zadotti e dalla Stolfi, con ordinanza del 23/9/2014, ha annullato il provvedimento impugnato e disposto la restituzione dei beni sequestrati agli aventi diritto.

Il ricorso. La Procura della Repubblica aveva presentato immediatamente ricorso in Cassazione, sulla base di una “errata applicazione degli artt. 43 cod.pen. e 321 cod.proc.pen., rilevato che il giudice del riesame, nel valutare la sussistenza dei presupposti del provvedimento di sequestro preventivo, pur dando atto, in linea con la prospettazione accusatoria, della illegittimità del titolo abilitativo, costituito dalla autorizzazione integrata ambientale, rilasciata con determinazione dirigenziale regionale n. 1869 del 2/8/2010, perché l’iter procedimentale era viziato dalla mancata acquisizione del nulla osta della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici, ha ritenuto, tuttavia di immediato rilievo il fatto che gli indagati (legali rappresentanti della società committente e della società esecutrice dell’impianto) abbiano incolpevolmente fatto affidamento sulla legittimità del provvedimento abilitativo, emesso dalla Regione, la cui illegittimità non appariva, ad avviso del decidente, di immediata evidenza, trattandosi di un profilo attinente all’iter amministrativo autorizzatorio, non facilmente conoscibile da parte dei soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione, così da escludere l’elemento soggettivo dei reati ipotizzati”.

Le motivazioni. Secondo il Pm ricorrente il provvedimento di annullamento del sequestro non può essere condiviso, “in quanto si scontra con le risultanze investigative ed appare frutto di travisamento dei fatti”: la Corte osserva preliminarmente come in sede di riesame dei provvedimenti con cui vengono disposte misure cautelari reali “è precluso al giudice l’accertamento del merito della azione penale e il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, potendo e dovendo operare un controllo nel caso concreto secondo il parametro del fumus del reato ipotizzato con riferimento, anche, all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purchè di immediato rilievo”, entrando poi nel merito con particolare precisione, specificando nella sentenza come le emergenze investigative abbiano posto in luce l’evidenza dell’illegittimità “del provvedimento autorizzativo, per la grave violazione dell’art. 146, d.Lvo 42/04, secondo il quale per la adozione di una autorizzazione integrata ambientale con lo strumento della conferenza dei servizi necessita la partecipazione del soprintendente o, comunque, che pervenga il preventivo parere scritto di quest’ultimo”. Lo ha chiarito direttamente l’architetto Giorgio Palandri, , responsabile della Soprintendenza dei Beni Architettonici e Paesistici per le Province del Lazio: l’ente deputato ad esprimere il parere vincolante di compatibilità paesaggistica, richiesto ex lege, è l’ufficio da lui diretto, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, che esprime il suo parere finale basandosi sui pareri endoprocedimentali delle Soprintendenze interessate per materia e territorio. “Giova evidenziare, secondo quanto chiarito dal Soprintendente regionale, che la nota emessa dal funzionario referente del Ministero dei Beni Culturali per il Lazio, Stefania Panella, valorizzata dal Tribunale del riesame per motivare l’asserita buona fede degli indagati, è da ritenere del tutto inidonea a produrre effetti giuridici esterni, in quanto proveniente da ente che non dispone del potere di autorizzare i lavori in questione e da intendere come mero parere favorevole endoprocedimentale sul progetto, su cui la Direzione Regionale dei BB.CC.PP. doveva fondare il proprio parere finale”, questo dice la sentenza della Corte, che specifica successivamente come la Regione Lazio – “nonostante la protocollazione, in data 19/8/2009, della nota a firma del funzionario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali” – non abbia mai invitato alle diverse sedute della conferenza di servizi la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici, unico organo deputato ad emettere il parere finale. Una “macroscopica omossione” che non può essere “incolpevolmente sfuggita agli indagati, soggetti, peraltro, particolarmente qualificati, in quanto da tempo operanti sul territorio nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani e, in particolare, nella realizzazione e gestione di impianti e discariche, con specifica preparazione in materia edilizia e di tutela dell’ambiente e del paesaggio”. Annullamento senza rinvio della sentenza del riesame, e ripristino della misura cautelare reale. Il cartello sul cancello del Tmb sta lì a racchiudere le 5 pagine della Cassazione.

 

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