‘Ai negri/zingari/romeni/terroristi danno pure le case popolari’, ‘ci rubano il lavoro’, ‘affogateli in mare tutti’, ‘terroristi’, ‘vivono con 35 euro al giorno’, ‘ci rubano nelle case’, ‘villaggio vacanze Italia’ con la foto di un barcone di quelli che affollano le coste di Lampedusa, visti oggi come il vero male del nostro Paese. I social parlano, le tastiere si infiammano: complice la situazione internazionale gli stereotipi sui migranti diventano ogni giorno peggiori. Ma sarà davvero così? Per conoscere meglio almeno una parte di questo mondo siamo andati nel Centro Accoglienza ‘Wel(c)Home’ SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) di Roma Capitale, III Municipio, gestito dalla Cooperativa Idea Prisma 82, con il supporto del del Consorzio Pegaso e dalla Cooperativa Sociale F.A.I., attivo da giugno 2013. Otto operatori per 15 ospiti, un totale di 4 nuclei familiari provienienti da Congo, Afghanistan, Etiopia ed Iraq. Una semplice casa, donne e bambini che girano, gli operatori che ci fanno accomodare e iniziano a raccontarci, scrutati da un paio di piccoli occhi curiosi che sorridono. E’ una commissione del comune di Roma ad assegnare gli ospiti ad ogni SPRAR, e non è una sistemazione definitiva. Anche perchè in 6 mesi spesso non arriva neanche il permesso di soggiorno. Non è definitivo, ma è vita, quella che queste persone cercano, sfidando il destino e mettendo in gioco tutto per andare via da luoghi, dalle loro case, dove la vita sarebbe messa ogni giorno a dura prova. “Abbiamo 9 bambini – ci raccontano gli operatori – e 8 adulti. Tutti sono stati accolti benissimo dal palazzo e dall’intero quartiere”. Non siamo infatti in una struttura ad hoc, odierni ghetti dove i migranti arrivano e restano, senza nessun tipo di attività. “Non abbiamo mai avuto problemi di sorta: spesso è la religione a alimentare tensione tra gli ospiti. Proprio dopo Parigi abbiamo avuto roventi discussioni tra Musulmani e Cristiani Copti, spesso si litiga per la cucina, ma sono casi sporadici: la convivenza è possibile, con dei momenti di vera condivisione, come la nascita di un bimbo di qualche settimana fa”. La presenza del centro favorisce anche l’indotto del quartiere, viste le spese che evidentemente una struttura con così tanti ospiti deve fare giornalmente: tutto in regola, tutti acquisti con la procedura di rintracciabilità, effettuati dagli operatori della Cooperativa per le esigenze basilari dei migranti. Altro che 35 euro al giorno che vanno agli stranieri, “tutti i fondi per i migranti sono ossigeno per l’economia italiana, non vanno certo in tasca ai migranti. La loro diaria giornaliera è di circa 1 euro e mezzo al giorno: un po’ pochi per giustificare tutte le leggende di questi periodi”. Nell’epoca dei social, 1o condivisioni diventano un fatto, e questi ‘dati’ che ciclicamente tornano non fanno che alimentare tensioni e pregiudizi. “Basterebbe un minimo controllo delle fonti. Perchè non pensare alle soluzioni, invece che essere per forxa distruttivi?”. E’ chiaro che, essendo un centro piccolo, il progetto ‘Wel(c)Home’ funziona molto meglio di altri: gli ospiti svolgono davvero corsi di lingua e corsi professionali. “Due ragazze hanno appena terminato un corso per pizzaioli: una già sta lavorando, l’altra comincerà presto: è solo con il lavoro che si generano autonomia ed inclusione. Senza togliere niente a nessuno”.Lavoro e una assistenza personale e personalizzata: gli operatori riescono a seguire tutti, e a generare percorsi virtuosi di inclusione, cultura e socialità che spesso diventano contagi positivi per l’intero palazzo e per l’intero quartiere. Perchè, evidentemente “è solo una comunicazione ben fatta, e reale, che favorisce l’inclusione. Qui abbiamo uomini e donne, bambini, madri e padri: non c’è nulla di quello che molti pensano”. Mentre raccontavamo ad amici che saremo andati in un centro di accoglienza, abbiamo notato occhi sbarrati e sguardi smarriti. Mentre andavamo a trovare una delle ragazze pizzaiole, abbiamo pensato che una cattiva comunucazione è davvero peggio di una epidemia. La paura genera diffidenza, che porta cancelli sbarrati e sguardi negati. Eppure, nel centro di Ida Prima 82 – che porta avanti, insieme alla ASL RMG, il progetto V.I.S.I, del FER (FOndo Europeo per i Rifugiati), e che spesso svolge interventi nel CIE di Castelnuovo di Porto – ci siamo sentiti accolti molto di più che in altre parti socialmente accettate e accettabili per i più. Eppure basta solo fare un passo. I pregiudizi quando crollano fanno rumore. E forse spaventano. Ma vuoi mettere il piacere di guardare il cielo senza più muri che ti frenano? Diceva Primo Levi “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”. Necessario per non sprofondare, culturalmente e socialmente. E noi, prima persona plurale, possiamo farcela. Basta davvero fare un passo, e guardare. Ad aprirvi, due piccoli occhi neri e curiosi. Gli occhi della vita, quella che va oltre le tastiere e oltre un social network.
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