Roma. La mostra di Maurits Cornelis Escher illumina il Chiostro del Bramante

In Cronaca & Attualità, Primo Piano da Francesca Dei Cas

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Mi regalarono il mio primo catalogo di opere di Maurits Cornelis Escher quando avevo solo dodici anni e questo perché adoravo riprodurre i suoi quadri. Era l’età delle scuole medie, di educazione tecnica, delle prime squadre e della carta millimetrata. Si può immaginare l’emozione quando nell’agosto dell’anno 2014 mi è giunta notizia che, in meno di un mese, sarebbe finalmente arrivato a Roma uno dei miei pittori preferiti.

Nonostante sia laureata in Storia dell’Arte Moderna e quindi maggiormente attratta da colori e forme morbide, Escher mi ha sempre raggiunto il cuore… anche con quelle opere da molti osservate di sfuggita e commentate solo con un “E che ci vuole?” o “Ma che mi rappresenta riprodurre lo stesso cane mille volte in una singola tela?” o, peggio, “Che senso ha quest’omino seduto sulla parete o quest’altro capovolto?”.

Maurits arriva a Roma il 21 settembre 2014 e sbanca i botteghini, tanto da vedere spesso visitatori ritornare indietro perchè senza prenotazione, anche il sabato: questo la dice lunga sul successo dell’esposizione, esposizione che purtroppo il 22 febbraio 2015 ha lasciato la Capitale. Chissà quando potremo godere ancora della sua presenza!

Anche solo la location scelta è stata più che suggestiva: il Chiostro del Bramante, per quel che mi riguarda, emoziona mille volte di più di un freddo Vittoriano o di un rinnovato Palazzo delle Esposizioni.

Una mostra eccezionale, con oltre centocinquanta capolavori, tra quadri, incisioni e grafiche, tra cui anche i più conosciuti e apprezzati dal pubblico (quali “Mano con sfera riflettente” o “Casa di scale”). Lavori in cui mondi a due o tre dimensioni quasi fuoriescono dalle stampe, dalle litografie, dalle xilografie che potrete ammirare. L’abilità di una mano immortale in grado di farci diventare microscopici e farci salire e scendere da scalinate assolutamente perfette e al tempo stesso surreali, la capacità di un singolo artista di fissarci in mente uno stesso soggetto riprodotto innumerevoli volte, che, a osservarlo attentamente, sembra quasi dirci “Sono sempre uguale, eppure guarda come cambio!”.

L’emozione più grande, quella di perdersi tra le sue geometrie e prospettive e ritrovarsi in un mondo di emozioni e immagini che non ci hanno abbandonato così facilmente: finalmente anche noi inguaribili classicisti possiamo arrivare ad amare la rivoluzionaria arte della precisione e della metodicità e carpire anima e cuore da forme apparentemente asettiche. Un peccato averla vista andare via così presto. Un vero peccato per chi non ha avuto la fortuna di respirare la magia di Escher.

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