Venti di guerra al di là del Mediterraneo. E battaglie che tutte le persone portano giornalmente avanti, semplicemente per non chinare la testa, per non rassegnarsi, per non cadere trappola di un mondo buio, meschino e crudele. Quel mondo che accompagna tante persone a morire in mezzo al mare, alla ricerca di un futuro, quel mondo che fa morire una bambina in una ambulanza, quel mondo in cui le ingiustizie sono all’ordine del giorno. Tutti i giorni. Una di queste storie brutte, e non riusciamo a utilizzare una parola migliore, è quella di Simona, 40 anni. Commessa di un megastore di elettronica, in un grande centro commerciale a pochi chilometri da Roma. Un cancro che le sconvolge la vita. E un licenziamento dopo due mesi di ricovero. La gioia del ritorno a casa si tramuta, in un soffio, in un incubo che diventa sempre più buio. Accade anche questo, in Italia. “Superamento del periodo di comporto”, questo era scritto nel telegramma che la donna ha trovato a casa, dopo due mesi di ricovero. Contratto di lavoro applicato alla lettera, da parte della multinazionale per la quale la donna lavorava da 10 anni:nei fatti, nessun riguardo per la situazione di Simona. Nessuna pietà. Una battaglia per la vita che raddoppia, e che diventa anche battaglia per il lavoro, per quel lavoro che, con un minimo di tranquillità, sarebbe stato base da cui ripartire per vincere il cancro. Ci vuole più coraggio ad affrontare la morte o affrontare la vita? Simona ha scelto la vita. E non è sola. Con lei ci sono i suoi colleghi, fianco al fianco. Con lei c’è Francesco Iacovone, dell’Esecutivo Nazionale USB Lavoro Privato. “È il prodotto di una società che annulla l’aspetto umano. I lavoratori sono meri strumenti di produzione, al pari di uno scaffale. Il morale, la serenità e la sicurezza economica, in questa malattia, fanno la differenza. E l’azienda pur applicando le regole contrattuali, ha dimostrato di non aver il minimo riguardo per una sua dipendente che da tanti anni lavora per questa multinazionale”. Una battaglia per i diritti, che unisce lavoro e vita. Che sono legati indissolubilmente per tutti, ancora più stretti per chi combatte contro una belva silenziosa e talvolta letale. Simona non è sola, e questo è un sollievo e un punto dal quale partire. “Impugneremo il licenziamento e chiederemo l’immediato reintegro – prosegue il sindacalista Usb – forti anche di quanto accaduto recentemente a Brindisi. Patrizia, 52 anni, impiegata della multinazionale Lyondell Basell malata di cancro è stata reintegrata, grazie a una petizione di 80mila firme e un accordo con la multinazionale. Rientrerà a lavoro il prossimo lunedì 16 febbraio. Patrizia era stata licenziata dall’azienda il 17 novembre scorso, dopo 25 anni di servizio”. #dallapartedisimona è l’hashtag lanciato dal sindacato, nell’attesa di altre iniziative che sono in fase di organizzazione. Iacovone è fiducioso. “Troveremo la strada, giudiziaria o sindacale, per riconsegnarle lavoro e dignità”. E non è una battaglia di Simona, di Francesco e del sindacato. E’ una battaglia di tutti, perché tutti potremmo un giorno trovarci in situazioni simili. Una presa di posizione contro questo mondo brutto, che non prevede pietà e rispetto, che ragiona solo con i numeri degli incassi e mai col cuore. Un mondo che ferisce, e quel sangue che esce dovremmo sentirlo nostro, almeno per una volta nella vita. Nessun cuore può restare indifferente davanti alla storia di Simona. Ed è per questo che, dopo aver ascoltato Francesco, dopo aver letto, dopo esserci messi nei panni della donna..sì, noi siamo #dallapartedisimona. E continueremo ad esserci, perché, semplicemente, ce lo dice il cuore. Ce lo conferma la mente. E quando cuore e mente convergono in una sola parte, c’è poco da fare. E’ la parte giusta. La parte di Simona.
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