Lavoro. Contratto unico, il rilancio dell’occupazione non passa attraverso vecchie ricette

In Cronaca & Attualità, Politica da Roma Est Magazine

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“Irrompe Matteo Renzi sull’argomento più scomodo e atteso dalla crisi finanziaria: il lavoro.  Purtroppo – evidenzia Diego Righini, economista del think thank sulla Legge di stabilità costituito dalla Fondazione Formiche Giovani, l’Istituto europeo Terzo Millennio e Orrick – i primi lanci programmatici sembrano accodarsi alle vecchie ricette sul lavoro: Biagi, Fornero, Giovannini. Una linea secondo la quale meno garanzie danno più occupazione; oppure che il lavoratore resta dentro un’azienda anche se non c’è sinergia sulla produttività. La proposta di Renzi sul “Contratto unico” non parla delle regole importanti per fare funzionare un mercato del lavoro conteso da soggetti protettori di privilegi, come i Sindacati e le Associazioni d’impresa. La prima regola aurea è quella del costo del lavoro che, da contratto, deve costare il 30% in più, se interinale o a progetto, e il 15% in più se a tempo determinato, rispetto ad un contratto a tempo indeterminato – sottolinea Righini -. Perché meno sono le garanzie del lavoratore e maggiori devono essere gli oneri a carico delle imprese da riversare sui lavoratori. La seconda regola aurea deve prevedere un taglio profondo del cuneo fiscale per i contratti a tempo indeterminato utilizzando le risorse, oggi, sprecate nella cassa integrazione in deroga.La terza regola aurea deve prevedere lavori socialmente utili per chi va in Cassa integrazione, questo perché le tasse pagate dagli italiani devono avere un servizio/corrispettivo in cambio da chi si garantisce un reddito di accompagno verso un altro lavoro. Se non verranno fissati questi paletti di produttività e utilità marginale, a compensazione delle condizioni sociali dello status del lavoro, nessuna regola artificiale di distorsione del mercato potrà rideterminare i meccanismi naturali verso un’occupazione del 90-95%, una disoccupazione frizionale del 3-5% e – conclude Righini – una disoccupazione strutturale del 2-5%”.

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